«L’egoista classe politica italiana evita il disastro all’ultimo minuto», scriveva l’altro giorno il Financial Times, con un titolo purtroppo azzeccato che avrebbe potuto essere proposto in un giorno qualsiasi degli ultimi trent’anni. E speriamo che la cosa non valga anche per i prossimi trenta.

La rielezione di Sergio Mattarella, impeccabile bisgarante della Costituzione, ha certamente l’aria di un disastro evitato, e dell’esito di una settimana di trattative da incubo è saggio rallegrarsi. Ma le circostanze in cui la riconferma è avvenuta dicono anche che il rinnovamento del sistema politico, invocato a parole ed evitato nei fatti quasi quanto una donna al Quirinale, è stato rimandato ancora una volta. Era tutto scritto nelle premesse.

Mattarella un anno fa ha preso la decisione grave, nel senso etimologico di pesante, di affidare il governo a Mario Draghi per sistemare la gestione scellerata del Conte II, governo nato sulle macerie dell’inqualificabile Conte I.

Quella del capo dello stato è stata una scelta, non un destino scritto nei bollettini della pandemia, ma la politica è anche l’arte di presentare le decisioni come risultati ineluttabili di forze superiori. C’erano ragioni validissime per portare Draghi a palazzo Chigi in quel frangente, ma la decisione ha rafforzato la logica del disastro da evitare, che poi si è riproposta in modo praticamente identico quando si è trattato di eleggere il nuovo capo dello stato. Per non inciampare in soluzioni traumatiche si è preferito congelare l’assetto esistente, giustificando l’operazione con la solita ragione: c’era un disastro da evitare.

Bisogna perciò essere consapevoli che la buona notizia del Mattarella bis contiene in sé una constatazione amara su un sistema politico che continuamente sceglie di evitare il baratro con un’ennesima manovra anomala, tutte le volte promettendo che sarà l’ultima, che questa volta è diverso, che non è la norma ma l’eccezione, anzi è l’eccezione che metterà fine a tutte le eccezioni. Così la ricostruzione è rimandata un’altra volta. È una logica che avvolge l’intero sistema dei partiti.

Ora si discute dell’azzeramento della politica, della deflagrazione delle coalizioni, di insanabili rotture interne, di partiti al bivio e leader alla resa dei conti, ma il paese si è trovato troppe volte di fronte a presunti redde rationem poi sciolti in abbracci più o meno appassionati per credere che questa volta sarà diverso. Nel frattempo emergono sempre nuovi disastri da evitare. Sul tricolore continua a campeggiare la scritta “Ho famiglia” (Longanesi non scriveva “tengo”) e nemmeno la rielezione di un presidente eccellente può cancellarla. 

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