Tutto è bene quel che finisce bene, specie se finisce con l’elezione di un ottimo presidente della Repubblica. Sergio Mattarella è garanzia di stabilità per il paese e di continuità per l’azione del governo di Mario Draghi. Detto questo, occorre valutare se va tutto bene anche con riguardo allo spirito della Costituzione. Il rinnovo del mandato presidenziale tende a diventare prassi, da evento straordinario qual era prima della rielezione di Giorgio Napolitano, nel 2013.

Mattarella e i discorsi sulla rielezione

Mentre nel 1998 Mattarella valutava positivamente l’ipotesi di rielezione - riguardo all’allora presidente Oscar Luigi Scalfaro - nell’ultimo anno è parso esprimere un’opinione diversa, come si evince in particolare da alcuni suoi discorsi relativi a precedenti capi di Stato.

Nel febbraio 2021, in occasione della celebrazione dei centotrenta anni dalla nascita di Antonio Segni – presidente della Repubblica dal 1962 al 1964 - Sergio Mattarella evidenziò come questa «personalità politica eminente» avesse manifestato la «convinzione che fosse opportuno introdurre in Costituzione il principio della “non immediata rieleggibilità” del presidente della Repubblica», affinché venisse eliminato «qualunque, sia pure ingiusto, sospetto che qualche atto del capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione».

Contestualmente – secondo Segni - si sarebbe dovuta abrogare la disposizione della Costituzione (art. 88) «che toglie al Presidente il potere di sciogliere il parlamento negli ultimi mesi del suo mandato», poiché «altera il difficile e delicato equilibrio tra poteri dello Stato e può far scattare la sospensione del potere di scioglimento delle camere in un momento politico tale da determinare gravi effetti».

Mattarella è tornato sul tema della rielezione anche nel novembre 2021, in occasione del ventesimo anniversario della scomparsa di Giovanni Leone, capo dello Stato dal 1971 al 1978, rilevando come quest’ultimo si fosse espresso contro la possibilità di doppio mandato e avesse proposto «la sollecitazione (già sottolineata da Segni), di introdurre la non rieleggibilità del presidente della Repubblica, con la conseguente eliminazione del semestre bianco».

Nel 2006 anche Carlo Azeglio Ciampi aveva affermato che fosse bene non infrangere la «consuetudine significativa» di evitare un secondo incarico: «il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato».

La rieleggibilità nei lavori della Costituente

L’art. 85 della Costituzione si limita a stabilire che «Il presidente della Repubblica è eletto per sette anni», senza disporre niente su una possibile rielezione.

Nell’ambito dell’Assemblea costituente vi fu un ampio dibattito riguardo a durata e rieleggibilità del capo dello Stato. Circa il primo punto, tra le varie ipotesi si decise per il mandato settennale, come soluzione di compromesso tra la temporaneità delle cariche elettive e l’esigenza di stabilità. Il criterio fu quello di stabilire una «durata superiore a quella delle Camere, ma non troppo più lunga di queste» (U. Rescigno); sufficientemente estesa per garantire continuità, ma non così tanto da portare a squilibri di potere.

Quanto al secondo punto, si valutò se sancire espressamente il divieto di rieleggibilità o almeno la non immediata rieleggibilità. Poi si decise di non precluderla ma, per evitare il rischio che un Presidente uscente, per essere rieletto, facesse pressione sulle camere nell’ultimo periodo del suo incarico, minacciandole di scioglimento, si inserì la disposizione sul semestre bianco.

Le ragioni della non rieleggibilità

Le ragioni contrarie alla rielezione sono ravvisabili, tra le altre, nella necessità di «evitare che l’organo personale al quale la Costituzione assicura il mandato più lungo possa detenere una quota tanto rilevante di poteri – di influenza, mediazione, regolazione – per un periodo approssimativamente corrispondente a tre legislature» (G. Scaccia).

La durata della carica del presidente della Repubblica è tra le più lunghe del nostro sistema costituzionale, superata soltanto da quella dei giudici della Corte costituzionale (9 anni).

Già nel 1949 autorevoli costituzionalisti si esprimevano contro la rielezione, affermando che «sarà cura del Parlamento evitare che la presidenza troppo a lungo tenuta non si tramuti in una carica vitalizia con tutti gli inconvenienti e i pericoli che vi sono connessi»; e che «lo stesso Presidente avrà la sensibilità di non accettare una rielezione continuata, salvo che necessità di patria lo impongano» (G. Baschieri, L. Bianchi d’Espinosa, C. Giannattasio).

Nel 2013 si osservò come dalla rielezione di Giorgio Napolitano conseguisse «il rafforzamento del potere del capo dello Stato di fronte al vuoto decisionale del Parlamento» (G. Azzariti). Più recentemente si è sostenuto che la rielezione di Napolitano se, da un lato, era servita a confermare «la validità della scelta operata dai Costituenti di non inserire un divieto esplicito di rieleggibilità, vista la gravità delle circostanze che  reclamarono  il  ricorso  ad  un  rimedio  disperato»,  dall’altro lato, avrebbe dovuto «impegnare  gli  attori  coinvolti  a  non  istituzionalizzare  oltremodo  la straordinarietà, vulnerando certi invisibili, eppure fondamentali, equilibri sottesi alla nostra trama costituzionale» (L. Longhi).

L’ordinarietà della rielezione potrebbe pregiudicare la neutralità del presidente rispetto alle forze politiche, incidendo sulle «esigenze di equilibrio nei rapporti fra poteri» che «hanno concorso a far consolidare, nella prassi repubblicana, una norma consuetudinaria secondo cui la rinnovazione del mandato, seppure non vietata, doveva ritenersi comunque inopportuna» (G. Scaccia).

Insomma, «la rielezione non si accorda con i compiti di garanzia che la Costituzione assegna al rappresentante dell’unità nazionale» (G. Azzariti), la cui imparzialità richiede che egli resti estraneo alla ordinaria dinamica politica dei partiti.

Questi concetti sono ribaditi nella relazione di accompagnamento al disegno di legge del dicembre 2021 in materia di non rieleggibilità del presidente della Repubblica: «se l’eccezione divenisse regola e quella che è stata la regola cominciasse ad apparire come eccezione, l’equilibrio dei poteri delineato dalla Carta potrebbe risultarne alterato.

Infatti gli Stati Uniti, pur in un contesto di elezione sostanzialmente diretta del presidente, hanno introdotto il divieto del terzo mandato quadriennale solo nel momento in cui l’eccezione avrebbe potuto divenire prassi».

Tutto bene quel che finisce bene, allora? «Un precedente può essere motivato in circostanze eccezionali, due di seguito incominciano a preoccupare» (S. Prisco). Questa “preoccupazione”, fondata sulle considerazioni espresse dalla dottrina costituzionale, impone che la rieleggibilità sia oggetto di ulteriori riflessioni.

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