C’è un evidente simbolismo nell’arresto di Matteo Messina Denaro, che viene catturato, o viene consegnato, oppure si consegna, a trent’anni da un’altra cattura eccellente, quella di Totò Riina. La coincidenza è, a dir poco, curiosa.

Ora aspettiamo di capire cosa dirà, o cosa non dirà. O meglio cosa gli chiederanno gli inquirenti, o cosa non gli chiederanno.

Se vogliamo accertare la pulizia di questa operazione avvenuta c’è un solo punto qualificante che deve essere rivelato: Messina Denaro deve spiegarci come è stato “coperto” in questi trent’anni.

Deve rivelarci come si riesce a restare latitanti, peraltro a casa propria, a Palermo. E non in una caverna, ma entrando e uscendo regolarmente da una clinica. Non gli è servita neanche la figura del medico della mafia che lo andava a trovare.

Ma è difficile non restare turbati. I nostri inquirenti hanno scoperto in tre giorni dove si erano nascosti i ragazzini fuggiti dal carcere Beccaria di Milano.

E – per fortuna – afferrano in poco tempo anche gli omicidi, quelli che fanno gli incidenti senza soccorrere la vittima. Ma quando si sale verso i grandi reati, ci sono trent'anni di latitanza. Com’è possibile? O, meglio, è davvero possibile?

C’è poi un aspetto persino comico, involontario, della vicenda. Alla notizia dell’arresto, Giorgia Meloni si precipita a Palermo.

Evidentemente voleva fare una conferenza stampa, ma altrettanto evidentemente qualcuno le ha spiegato che la conferenza stampa spettava alla procura e i carabinieri.

E allora la visita precipitosa viene raccontata come la sua necessità impellente di salutare magistrati e forze dell’ordine. Ma il presidente del Consiglio ha bisogno di andare sul luogo per un saluto? Non poteva felicitarsi con la procura antimafia a Roma?

Meloni ha tentato di fare un uso strumentale di questa cattura. Un uso deviante dai problemi drammatici del paese.

Una sola cosa viene da dire: abbiate pudore, tenete quel minimo necessario di serietà di fronte alla serietà della situazione del paese.

Sempre bene assicurare un superlatitante alla giustizia, ma il fatto che venga assicurato alla giustizia non cambia niente alle condizioni del paese.

E forse neanche alla lotta alla mafia, il cui problema oggi, come noto, è quello dell’investimento dei suoi capitali.

Siamo sull’orlo dell’estensione del conflitto ucraino-russo, dall’altra parte dell’Adriatico i Balcani sono una pentola in ebollizione nella quale la Russia spadroneggia.

E questo precipitarsi della presidente del Consiglio ad affiancare il suo volto a quello degli inquirenti di Palermo è un evidente modo per prendere fiato dalle difficoltà del governo.

Ma contemporaneamente, e fatalmente, dimostra la incapacità di affrontare i problemi, e anche l’impotenza. L’improvvisata presenza di Meloni a Palermo è inutile. Cerca una via di fuga, ma una via di fuga non è un salvataggio. La via di fuga sono le dimissioni, se non ritiene di essere all’altezza dei problemi che deve affrontare.

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