Divide et impera. Il vecchio principio fondamentale del potere funziona sempre. Ad applicarlo, con notevoli capacità di manipolazione, è Giorgia Meloni con i suoi alleati. Da quando non c’è più Silvio Berlusconi, personalità ingombrante e mente politica finissima, il lavoro della presidente del Consiglio si è semplificato.

Forza Italia non chiede che qualche politica fiscale a suo favore senza alzare i toni dello scontro in maggioranza e dunque resta soltanto la Lega da sistemare nella definizione delle priorità politiche. Sul punto la premier si è incuneata con efficacia in una vecchia crepa del leghismo, quella tra Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti.

I tentativi di Salvini

Palazzo Chigi e il ministero dell’Economia sembrano muoversi come un’unica entità: sul livello del deficit, sulla condanna del bonus 110 per cento, sui rapporti prudenti con la Commissione Europea, sul cuneo fiscale come unica via in un sentiero economico stretto.

Fuori da questa diarchia governativa c’è Matteo Salvini con le sue polemiche e i suoi toni battaglieri. Da un paio di mesi il segretario leghista ha abbandonato il ruolo del ministro diligente e cerca di tornare capo-popolo con spostamento della linea politica del suo partito verso destra. L’alleanza con Marine Le Pen, i toni duri sui migranti, la polemica con la Germania per le navi Ong, gli attacchi alla Commissione europea, le promesse sulle grandi infrastrutture e sulle pensioni.

Si avvicinano le elezioni europee e Salvini cerca di uscire dall’angolo dove i pochi consensi ricevuti alle politiche del 2022 lo avevano messo. Tuttavia, egli stesso sconta delle difficoltà come l’impantanamento dell’autonomia regionale, i ritardi nell’attuazione della flat tax e soprattutto i fallimenti sull’immigrazione di cui il ministro dell’Interno Piantedosi, tecnico in quota Lega, è tra i principali protagonisti.

Nella Nadef

C’è chi, dopo la batosta elettorale del 2022, si aspettava una Lega di governo, meno polemica con l’Unione europea, magari capace di puntare all’erosione definitiva del consenso di Forza Italia, federalista e industrialista, mentre invece ancora una volta in Salvini ha prevalso il movimentismo euroscettico.

La Lega così si ricava una posizione da destra nazionalista ad ampio spettro che mette in difficoltà Giorgia Meloni, già alle prese con scivoloni mediatici e programmatici del suo partito. La reazione della presidente del Consiglio è tutta nella Nadef.

Niente fondi immediati per il Ponte sullo Stretto, uno dei cavalli di battaglia di Salvini, così come molto blandi dovrebbero essere i vantaggi fiscali accordati alle partite IVA. L’estensione della flat tax di matrice leghista può attendere e sulle pensioni Salvini ottiene solo un ritocco modesto.

Insomma, per ragioni legate all’economia internazionale, lo spazio in bilancio è poco e Fratelli d’Italia fa la parte del leone d’accordo con Giorgetti, mentre per la Lega resta al momento poco nel piatto della futura legge di bilancio.

La risposta di Meloni

Meloni vuole proteggere i redditi e le fasce sociali medio-basse, dunque tutto o quasi si concentra sulla riduzione del cuneo fiscale, anche per schermarsi dalle proposte dell’opposizione sul salario minimo. Per ora, insomma, la linea dura di Salvini non sembra pagare sul piano programmatico.

Meloni si è irrigidita di fronte alle escandescenze del leader leghista mentre Giorgetti ha fatto della prudenza un proprio mantra, impaurito da un possibile stigma dell’Europa e dalla perdita di fiducia dei mercati, protetto proprio dalla presidente del Consiglio. In conclusione c’è da domandarsi quanto Salvini sia problematico per il governo.

La risposta è che ad oggi il segretario leghista, fino a che regge l’asse Meloni-Giorgetti, è più dannoso per se stesso. Salvini rischia infatti di mettersi in un angolo in Europa e nel governo per guadagnare qualche decimale di consenso. Ma pur con un po’ di forza elettorale in più rispetto al 2022 Salvini non ha alternative a questa maggioranza.

Certo può agitare le sue bandiere per negoziare con Meloni, può costringere al compromesso la premier e Giorgetti, può mettere pressione da destra a Fratelli d’Italia. Tutti elementi di disturbo verso Meloni, ma se poi alle europee il risultato della Lega non dovesse essere brillante cosa resterebbe di questa strategia? Più danno che guadagno.

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