Giorgia Meloni non sa mai di cosa parla quando si avvicina alle terre per lei incognite dell’economia ed evidentemente ritiene superfluo chiedere consigli prima di discuterne.

Alla vigilia del Consiglio dei ministri sull’ennesima puntata della sua controriforma fiscale, la premier ha sostenuto in parlamento che è finalmente arrivato il momento di «una reale lotta all’evasione fiscale, posto che le misure attuate fino a oggi, dati alla mano, non sembrano aver sortito grandi effetti».

Detto da una presidente del Consiglio che sta cercando di legalizzare l’evasione fiscale, grazie all’approccio del concordato preventivo biennale (un’impresa pattuisce col fisco quanto versare e poi può fatturare quello che vuole senza pagarci tasse) è già curioso, specie perché i suoi primi provvedimenti con la legge di Bilancio sono stati a favore degli evasori.

Ma i “dati alla mano” sulla lotta all’evasione fiscale dicono esattamente il contrario di quello che sostiene Meloni, cioè che i soldi si possono recuperare, basta volerlo, cioè fare l’opposto di quello che promette e fa da trent’anni il centrodestra prima berlusconiano, poi salviniano e infine meloniano.

Secondo i dati diffusi dall’Agenzia delle entrate, il recupero di gettito dall’evasione grazie alle misure ordinarie di controllo e straordinarie è stato di 19,3 miliardi di euro nel 2018, di 19,9 miliardi nel 2019 fino al record di 20,2 miliardi nel 2022. Perfino negli anni del Covid, con le attività di riscossione sospese dal marzo 2020 a fine agosto 2021, si sono raccolti 12,7 e 13,8 miliardi.

Un conto al quale vanno poi aggiunte le minori entrate, nel senso che si evitano di erogare crediti fiscali indebiti questo equivale a un aumento di gettito da lotta all’evasione, e nel 2022 l’Agenzia delle entrate ha anche bloccato 9,5 miliardi di euro tra crediti, bonus vari richiesti da chi non aveva diritto per farlo.

Il risultato è che, stando alla relazione del ministero dell’Economia sul sommerso, l’evasione complessiva di tasse e contributi è scesa ormai da quattro anni sotto la soglia psicologica dei 100 miliardi all’anno.

Siamo passati dai 106 miliardi del 2015 agli 89 del 2020. Sedici miliardi di differenza in cinque anni, un periodo nel quale il centrodestra è sempre stato all’opposizione, e questa non è una coincidenza.

Gran parte di questi risultati si fondano su quella digitalizzazione e segmentazione dei pagamenti che rende tutto tracciabile e impedisce che ci siano interi pezzi di economia in nero, in particolare lo split payment che permette allo Stato di incassare molta più Iva e la fatturazione elettronica, che è una gran seccatura per chi deve gestirla ma che ha scardinato gran parte dei rapporti economici che rimanevano in un’area grigia di informalità.

Tutte evidenze delle quali Giorgia Meloni sembra completamente ignara, d’altra parte ha dimostrato in aula di non conoscere nessuno dei principali dossier economici di cui ha parlato (non ha la più vaga idea di quale sia il dibattito sul fondo salva Stati europeo Mes, pensa che si discuta di come usarne i fondi invece che semplicemente di ratificare la riforma della governace già approvata in tutti gli altri paesi).

La completa, assoluta ignoranza della premier in materia economia poteva perfino fare simpatia quando stava all’opposizione e girava simpatici video sulle accise della benzina (che poi ha ripristinato dopo lo sconto del governo Draghi) ma comincia a diventare imbarazzante quando espressa dai banchi del governo.

Fino a quando l’establishment italiano, i giornali e i manager che la sostengono per opportunismo continueranno a far finta di non vedere la sua totale impreparazione a gestire dossier delicati?

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