Il vincolo esterno in questo momento non appare un problema, ma un’opportunità. Resta, invece, precaria la forza del governo nel gestire il vincolo interno, ossia il processo di riforme per modernizzare il paese. Le polemiche con la Lega sul terzo mandato, l’autonomia e il premierato che arrancano, il rapporto con il Quirinale
A livello internazionale è un momento d’oro per Giorgia Meloni. In Europa si trova in una posizione di forza, sulla scena internazionale è ben introdotta e con una reputazione forte, i mercati segnalano fiducia. Essere l’unico capo di governo europeo invitato all’insediamento di Donald Trump è una vittoria internazionale e il rapporto con la Casa Bianca costituirà un consolidamento della leadership, soprattutto se Meloni riuscirà a fare da aggancio tra l’America e l’Europa senza scatenare ostilità con i principali paesi europei.
Il vincolo esterno in questo momento non appare un problema ma un’opportunità. Resta, invece, precaria la forza del governo nel gestire il vincolo interno, ossia il processo di riforme per modernizzare il paese. Questa problematica vale in particolare per il rapporto tra presidenza del Consiglio e le altre istituzioni politiche. In primo piano c’è la dialettica continua, mai sfociata in conflitto ma pur sempre dura, tra palazzo Chigi e Quirinale.
Sergio Mattarella ha fatto pervenire alla maggioranza la richiesta di cinque modifiche per smussare gli aspetti più controversi e radicali del ddl Sicurezza. Meloni ha dato mandato di adeguarsi ai rilievi dalla presidenza della Repubblica, la premier è consapevole della forza persuasiva del capo dello stato nel tracciare le linee rosse sulla base del dettato costituzionale e della sua interpretazione, tuttavia questi interventi generano malcontento tra le forze di governo e nel caso di specie nella Lega.
È sempre più evidente il ruolo di “grande moderatore” che il capo dello stato gioca rispetto agli istinti più radicali della destra di governo. E se in questa fase è difficile per Mattarella far ascoltare i suoi consigli in politica estera, vista la crescita e l’allineamento delle destre occidentali, egli può ancora far pesare il suo giudizio sui provvedimenti interni.
Le tensioni con la Lega
L’altra annosa questione per il governo è data dalla discussione sul terzo mandato dei presidenti di regione. Fratelli d’Italia non vuole aprire a questa possibilità per ragioni squisitamente politiche in quanto intende esprimere il candidato governatore del Veneto, ma a che prezzo? Vale davvero la pena aprire un conflitto con la Lega, e poi probabilmente dentro la Lega tra Luca Zaia e Matteo Salvini, mettendo a rischio i rapporti tra alleati?
È vero che il centrodestra ha elevate probabilità di rivincere in Veneto e che il partito di Meloni non vuole perdere questa occasione, ma andare alla guerra con la Lega per un presidente di regione non ha grande senso strategico. Negli altri territori, al netto di inchieste che hanno travolto i candidati, Meloni ha lasciato gli equilibri inalterati ed è andata bene al centrodestra fino a oggi.
Attaccare la Lega al cuore, in Veneto, quando Fratelli d’Italia può essere comunque primo partito e contornare Zaia di suoi uomini, non sembra una mossa particolarmente prudente. A maggior ragione che uno sdoganamento del terzo mandato creerebbe un problema in Campania al Pd, dove Vincenzo De Luca si ricandiderebbe aprendo probabilmente una spaccatura nel campo largo.
La terza questione istituzionale è, per paradosso, quella delle riforme istituzionali. Per quanto concerne l’autonomia regionale si è capito che ormai si tratta di un pacco vuoto. E, al di là delle propaganda della Lega, niente di sostanziale cambierà nei rapporti tra stato e regione. Il premierato sembra oramai solo un ricordo di inizio legislatura. Il governo ha scelto di tirarla per le lunghe con il calendario, segno dell’indecisione politica nel portare avanti una riforma rischiosa a livello elettorale e in cui parte della maggioranza non crede particolarmente. È forse oramai il caso di domandarsi se la riforma costituzionale vedrà mai la luce in questa legislatura.
Resta la giustizia, che è l’unica riforma istituzionale davvero rilevante delle tre per i suoi potenziali cambiamenti negli equilibri della magistratura. Su questa il governo procede, i partiti sono più allineati che sulle altre riforme, e potrebbe anche giocarsela al referendum perché la fiducia degli italiani nella magistratura è bassa e il sistema giudiziario ha fatto di tutto negli ultimi anni per ridurre la propria autorevolezza. Questa è forse l’unica sfida che resta al governo per realizzare una riforma storica e adempiere almeno in parte al vincolo interno che ha costruito con le promesse elettorali.
© Riproduzione riservata