Dieci giorni fa il presidente dell'Unicredit Cesare Bisoni e "presidente designato" Pier Carlo Padoan (così è definito) sono stati ricevuti in udienza da papa Francesco. Non è peregrina l'ipotesi che il colosso del credito voglia tentare la strada della preghiera per uscire dal pasticcio del salvataggio del Monte dei Paschi di Siena chiesto dal governo.

Il 13 gennaio su queste colonne Giovanna Faggionato ha spiegato in dettaglio i contorni della partita. Se Unicredit si accolla la morente banca senese così com'è rischia di farsi tirare a fondo, come ha fatto capire l'amministratore delegato Jean Pierre Mustier quando ha annunciato le dimissioni. Ma accompagnare Mps con una dote sufficiente a non scassare i conti di Unicredit costerebbe ai contribuenti tra i 5 e i 20 miliardi.

E però per il governo c'è l'urgenza di far sparire sotto il tappeto la polvere lasciata proprio da Padoan: è stato lui, da ministro dell'Economia, a spendere non meno di 7 miliardi per salvare Mps nazionalizzandolo e promettendo all'Unione europea che l'avrebbe riprivatizzato entro il 2021.

L'attuale ministro dell'Economia Roberto Gualtieri ha aggiunto il suo soccorso, facendo rilevare alla società pubblica Amco 7,5 miliardi di crediti deteriorati in pancia a Mps. La situazione è dunque esplosiva e non sembra che il parlamento ne abbia consapevolezza. Nei primi 9 mesi del 2020 Mps ha perso oltre un miliardo e mezzo di euro. Sei mesi fa valeva in Borsa quasi due miliardi, oggi uno. L'amministratore delegato Guido Bastianini, nominato in quota M5S, si è fatto approvare il 17 dicembre scorso un piano strategico "stand alone", cioè pensato per una banca che va avanti da sola senza scomparire nella pancia della banca salvatrice.

Il nuovo piano è stato reso pubblico dopo un mese per l'intervento della Consob. Bastianini ha fatto trapelare l'indiscrezione secondo cui è stato Gualtieri a fargli pressioni perché non pubblicasse il piano. E si capisce. Basti pensare che l'incidenza dei crediti deteriorati sul totale dei finanziamenti erogati dalla banca, oggi scesa al 4,2 per cento grazie all'intervento di Amco, è prevista al 6 per cento nel 2021 e al 7,2 per cento nel 2022. Il Monte secerne crediti inesigibili senza sosta: negli ultimi anni sono stati smaltite sofferenze per decine di miliardi ma il tumore si riforma.

Infatti Bastianini, con obiettivi come «focalizzare il modello di business per recuperare il posizionamento sui clienti», riesce a promettere solo una riduzione delle perdite di quest'anno a 562 milioni, dopo una nuova iniezione di capitale da almeno 2 miliardi. Quanto al personale, è pianificato di far fuori 2.670 degli attuali 21.461 dipendenti.

Mercoledì scorso, in un concitato consiglio comunale, il sindaco di centrodestra Luigi De Mossi ha solennemente invitato la Fondazione Mps a fare causa al Monte chiedendo danni per 3,8 miliardi di euro.

E' evidente che una tale richiesta a una banca che in Borsa vale un miliardo fa ridere. Infatti il presidente della Fondazione Carlo Rossi ha risposto pacatamente: «Invito alla prudenza e a non creare false aspettative».

L'idea di De Mossi è che la richiesta di danni sarebbe una pistola da posare sul tavolo nel confronto con il governo sul futuro del Montepaschi. Ma la pistola è scarica, come gli ha fatto notare Pierluigi Piccini, consigliere di opposizione ma soprattutto ex sindaco di Siena (per dieci anni) ed ex funzionario di Mps quando la banca era della Fondazione.

Il punto è semplice: come può la Fondazione chiedere i danni alla banca per operazioni fatte quando era essa stessa l'azionista di maggioranza che le dava ordini? Quale giudice potrebbe prendere sul serio l'idea che il Monte abbia raggirato la Fondazione quando, per esempio, era presieduta da Giuseppe Mussari?

Questo è il livello del dibattito mentre il Monte dei Paschi si avvicina a lunghe falcate al baratro che si chiama "modello Alitalia": sopravvivere a spese dei contribuenti.

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