In questo periodo sto leggendo Essere una macchina di Mark O’ Connell, un’inchiesta sui transumanisti, quelli che pensano che potremo raggiungere la vita eterna grazie allo sviluppo delle tecnologie. Elon Musk ed altri miliardari finanziano queste ricerche e credono che un giorno il nostro cervello potrà essere trasferito su un computer o altro, risolvendo così il problemaccio dei nostri corpi deperibili e mortali.

Siamo degli animali intelligenti ma proprio non possiamo concepirla l’idea della morte, di non esistere più. Da sempre. Achille quando la madre gli dice «guarda che se vai a Troia muori sicuro però poi ti ricordano tutti nei secoli dei secoli, invece se rimani qua fai una vita decente e muori da vecchio nell’anonimato» non ci pensa un attimo. Il fatto che non abbia dovuto specificare a quale Achille mi stia riferendo fa intuire la sua scelta.

Io ho trentacinque anni. Appartengo alla generazione a cui durante l’infanzia veniva rinfacciato il gran numero di canali televisivi a disposizione e di merendine. Ho quindi conosciuto Monica Vitti quando era già la Vitti.

Era la Vitti di cui mandavano i film nei pomeriggi estivi che passavo da nonna. Immaginate una casa al mare col portico, il dondolo, il profumo di iodio e il canto delle cicale. Bravi, complimenti per la fantasia. Io invece stavo in un appartamento a Largo Preneste nel periodo tra la chiusura delle scuole e le ferie di mamma e papà.

Dopo pranzo mia nonna voleva riposare ma io no, guardare un film a letto era il compromesso ideale. Amore mio aiutami, Io so che tu sai che io so, Il dramma della gelosia li ho visti così e quando entrava in scena lei, nonna ci teneva a dirmi «lei è la Vitti, eh». Dovevo fare attenzione.

Ieri ci ha lasciato. Non parlerò della voce roca, della bellezza, dell’ironia, dei tempi comici perfetti e unici perché ho poche battute.

Avevo anche tutto un bel discorso su quanto possa essere a volte antipatica la vita, che negli ultimi anni l’ha fatta essere Monica Vitti senza saperlo. Peccato.

Quindi la ringrazio. Per tanti motivi ma soprattutto perché faccio l’attrice anche io e lei mi fa bene. Perché guardarla e pensare – io non ce l’ho un talento così, è meglio se resto a casa mia- è molto più formativo e sano dei vari -ah vabbè ma se lavora Tizia io dovrei avere l’Oscar, io sono più brava.

Mi mette davanti ai miei limiti ed è un regalo enorme, soprattutto in questo periodo in cui ci vogliamo convincere tutti di essere straordinari, unici e non cambiare mai, resta sempre così perfetta come sei.

Grazie e complimenti, Signora Vitti, perché è riuscita nella stessa impresa di Musk e Achille ma in un modo molto più divertente. Nessun supporto ferroso, nessuna freccia nel tallone. «Ma di che natura è il mio male? Ho avuto un trauma, sono sotto shock, è un disturbo neurovegetativo o è perché sono mignotta?». Così, per sempre.

(Il finale retorico si intuiva dall’inizio ma non mi sono mai vantata con gli amici al bar di essere una penna raffinata)

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