In dieci anni il Monte dei Paschi di Siena (Mps) ha distrutto un patrimonio accumulato in oltre mezzo millennio di finanziamenti all'economia e alla società. Dopo aver ingoiato 20 miliardi, altri ne ingoierà prima di uscire dall'ospedale statale. Secondo Unicredit, che s'era fatta avanti per rilevarlo, valeva poco più di un miliardo; per stare a galla avrebbe bisogno di un aumento di capitale di sei miliardi, così il conto sfiorerebbe i 30 miliardi. Al confronto Alitalia sembra un gioiellino e se questa è importante a Roma, figurarsi Mps a Siena.

Non sono stati solo i valori in gioco a fermare la trattativa, su cui ha gravato la netta avversione di Leonardo Del Vecchio, socio forte in Unicredit; ha molto pesato anche la pretesa di questa di rilevare solo “asset selezionati” di Mps, inconciliabile con quella, opposta, che Unicredit rilevasse quel “monumento alla perdita” limitandosi a lucidarlo.

Al motto unificante “No allo spezzatino”, la politica, compatta, ha festeggiato il fallimento della trattativa. E ora dovremo chiedere alla Ue di prorogare il termine per la dismissione, fissato a fine 2021.

Per fare cosa? Va respinta l'idea, specie di M5s e Lega, di un nuovo giro di gestione pubblica; non perché essa sia per forza fallimentare, o peggio di quella privata, in cui risplendono infatti fulgidi esempi di cattiva gestione, ma perché “abbiam già dato”!

Ora dobbiamo togliere dal tavolo il No allo spezzatino, l'assurdo vincolo a non toccare la struttura di Mps. Non ha più senso sognare di montare, intorno a Mps, una nuova banca pubblica, come vorrebbe Carla Ruocco (M5s).

Sgombrato il tavolo da quella pregiudiziale, potremo sondare le principali banche Ue, invitandole a presentare una proposta. Avremo più controparti con cui trattare, il che faciliterebbe anche l'Ok della Ue alla proroga del termine.

Bisognerà tener presente le difficoltà del settore in tutta Europa, ansioso di recuperare i margini compromessi dai tassi sotto zero, vendendo prodotti finanziari e assicurativi pensati nell'interesse della banca, non del cliente; diventano così puri supermarket finanziari. Se poi lo Stato dovesse metterci soldi, che almeno ottenga in cambio titoli - azioni, obbligazioni, strumenti finanziari partecipativi o altro - che potrebbero, nel tempo, anche rivalutarsi.

In caso di fallimento anche di questa via, non resterebbe che caricare sullo Stato, cioè su tutta la cittadinanza contribuente, lo sgradevole onere dello spezzatino, a quel punto inevitabile.

C'è una premessa, ardua da realizzare ma indispensabile per risolvere bene la grana che è ormai divenuta Mps; che tutta la politica, o almeno una sua gran parte, torni alla corretta percezione dell'interesse generale e alla lungimiranza di cui pur dette ampie prove.

Nel Palazzo Pubblico, cuore di Siena, possiamo ammirare l'affresco di Ambrogio Lorenzetti “Allegoria ed effetti del buon governo”; evitiamo di ispirarci al vicino affresco raffigurante, invece, il cattivo governo e le sue disastrose conseguenze.

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