Non è stato un Natale felice per la cultura italiana. In pochi giorni se ne sono andate due figure importanti della storiografia italiana: Piero Craveri, nipote di Benedetto Croce, e Luigi Canapini, storico del periodo fascista. Non ho conosciuto Craveri, se non per l’importanza dei suoi studi sui partiti politici e per il suo impegno politico nel partito radicale.

Ho conosciuto, invece, e bene, Luigi Ganapini, sia per legami famigliari sia, in modo più stabile e approfondito, per ragioni di lavoro. Nel 2003, quando non ero neanche trentenne, mi propose una borsa di studio per un lavoro di ricerca sulla filosofia milanese fra le due guerre presso la Fondazione Isec (Istituto di Storia dell’Età Contemporanea) di Sesto San Giovanni. Città medaglia d’oro per la resistenza, bastione inespugnabile della sinistra italiana già in crisi di identità.

Di lì a poco sarebbe passata in mano al centrodestra berlusconiano, niente di più distante dalla sua storia. Ganapini, che si divideva fra l’impegno in fondazione e quello universitario a Bologna era, da tempo, uno dei protagonisti degli studi sul periodo fascista, concentrandosi in modo particolare sulla storia della resistenza e sulla Repubblica di Salò, a cui dedicò un importante studio nel 1999 (La repubblica della camice nere, Garzanti).

Un’altra sinistra

Attento anche alla storia dell’Unità d’Italia, cui dedicò un lavoro scritto con Alberto De Bernardi, per come io l’ho recepito anche nelle tante conversazioni con lui, il lavoro storiografico di Ganapini si inseriva in quel tentativo di emancipare la sinistra da incrostazioni ideologiche che sempre più si stavano traducendo in sconfitte elettorali.

Non a caso, fu molto amico di Gianni Cervetti, Presidente dell’Isec, e parte dei «miglioristi» che si radunavano attorno alla figura di Giorgio Napolitano.

Cosa, però, univa me, giovane filosofo, a una figura di uno storico che non concedeva molto alla speculazione? Due cose. Anzitutto, uno sfondo culturale. Ganapini aveva fatto parte di quella generazione in cui impegno politico e culturale si intrecciavano e, spesso, non potevano pensarsi l’uno in assenza dell’altro. In questo contesto si incontravano saperi di estrazione diversa e, a Milano almeno, un ruolo importante fu giocato dalla filosofia, con la scuola fondata da Antonio Banfi.

Ben conscio delle differenze metodologiche, Ganapini affidò la revisione della mia ricerca a Fulvio Papi, allievo e testamentario di Banfi. Furono per me anni di impareggiabile formazione. E qui vengo al secondo punto di contatto: il rigore dello studio. Ganapini detestava la deriva, che definirei liceale, assunta dall’università.

Studio e rigore

Al momento della consegna della mia ricerca, stabilì anche degli strumenti di controllo del lavoro, come si usa fare. Mi diede appuntamento a «fra sei mesi», sottolineando di essere cosciente «che in sei mesi si fa appena una bibliografia». Per lui studio era frequentare archivi, raccogliere documenti, individuare linee interpretative. Era il momento in cui dottorandi e ricercatori nelle università erano riempiti di didattica e lui si chiedeva quando avrebbero potuto studiare.

Di quegli anni ho conservato l’idea, assai distante da ciò che predicava il mio maestro Carlo Sini, filosofo sommo, che un libro con le note non è «noioso», ma serio. E che la filosofia, l’evoluzione ideologica, si nasconde nelle pieghe della storia. Fu il confronto con Piero Martinetti a sedimentare definitivamente in me questa convinzione.

La fine di una generazione

Col tempo prevalsero nel mio percorso le tendenze speculative, che, sinceramente, Ganapini, serio e rigoroso com’era, non credo avesse mai capito. Come poter conciliare storiografia e teologia? Studi biblici, filosofia e analisi politica? E che c’entrano, mi disse una volta, queste cose con quelle fatte per l’Isec?

Non ho mai nemmeno provato a spiegarglielo, tanto non avrebbe approvato. È rimasto, però, in entrambi l’impegno per un rinnovamento della sinistra italiana per liberarla dalle incrostazioni novecentesche. Proseguirò il lavoro nel mio campo.

Intanto, un grazie a quella generazione costitutivamente «perdente», per citare Gaber. E un mio grazie personale a Luigi Ganapini, che, in ultimo si è concesso un romanzo storico-famigliare, che è un affresco del periodo da lui studiato per tutta la vita. Si intitola, Giorni di tarda estate. Guerra civile nell'Italia del duce, pubblicato nel 2022 da BFS.

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