Nei tribunali italiani accadono cose strane. Il 15 ottobre 2020 l'ex presidente del Monte dei Paschi Alessandro Profumo (oggi amministratore delegato di Leonardo Finmeccanica) e l'ex amministratore delegato dell'istituto senese Fabrizio Viola sono stati condannati dal tribunale di Milano per falso in bilancio e aggiotaggio a sei anni di carcere ciascuno. Una sentenza eclatante, visto che la procura, cioè la pubblica accusa, aveva chiesto prima l'archiviazione, poi il non luogo a procedere e infine l'assoluzione degli imputati. Con viva curiosità si attendevano dunque le motivazioni della condanna che sono state depositate mercoledì scorso, dando luogo a un curioso teatrino.

Nella mattinata di mercoledì gli avvocati dello studio Mucciarelli che difendono i due imputati sono stati informati dell'imminente deposito dell'atto che serve come base per il ricorso in appello. Poco dopo è sopraggiunta la notizia che, per non meglio noti "problemi operativi della cancelleria del tribunale", il documento sarebbe stato disponibile non prima di venerdì mattina, cioè oggi. Ma nello stesso pomeriggio di mercoledì le motivazioni della sentenza cominciano a circolare nelle redazioni dei giornali, con tanto di passaggi chiave evidenziati da una misteriosa e abile "manina". Nel giro di pochi minuti l'agenzia Ansa è stata in grado di comunicare che, secondo i giudici, nella condotta di Profumo e Viola "è persino ravvisabile un’intenzione d’inganno, giacché tale era il fine che animava il nuovo management, ossia rassicurare il mercato in vista dell’incetta di denari che si sarebbe da lì a poco perpetrata con gli aumenti di capitale". Ricordatevi di questa frase.

Mentre ancora gli avvocati dei due condannati aspettavano che la cancelleria del tribunale di Milano risolvesse i suoi problemi operativi, c’era un self service aperto per gli amici dei magistrati, e chiunque in Italia ha potuto leggere prima degli interessati le 356 pagine che motivano la condanna. Anche Domani ha potuto farlo. La lettura desta non poche preoccupazioni sui criteri con cui viene amministrata la giustizia in Italia.

Serve una succinta ricostruzione della vicenda. Il Monte dei Paschi gestito da Giuseppe Mussari nel 2007 si svena per strapagare la banca Antonveneta. Successivamente, per occultare le perdite provocate dalla sciagurata impresa, organizza due contratti cosiddetti "derivati" con le banche Nomura e Deutsche Bank, noti all'universo mondo con i loro nomi, Alexandria e Santorini. Ovviamente, per occultare bene le cose, non vengono contabilizzati come derivati ma come altro. La vigilanza bancaria della Banca d'Italia ovviamente sapeva tutto, infatti Mussari è stato assolto dall'accusa di ostacolo alla vigilanza. Alle fine del 2011 la Banca d'Italia capisce che il tappo sta saltando e chiede a Viola di andare a salvare la banca. Si dimettono il direttore generale Antonio Vigni e a stretto giro anche Mussari, sostituito alla presidenza da Profumo. Alla fine del 2012 Viola e Profumo scoprono che Santorini e Alexandria sono di fatto due derivati e che i conti della banca risultano irrimediabilmente bacati. All'inizio del 2013 la notizia diventa di dominio pubblico e per mesi le cronache finanziarie non parlano d'altro. Tutti diventano esperti di derivati e di credit default swap come oggi sono tutti virologi. Nel primo semestre 2013 escono mediamente sei articoli al giorno sui derivati di Mps. Una vicenda molto tecnica che si svolge alla luce del sole.

Quando Viola e Profumo devono scrivere il bilancio 2012, tutto il paese partecipa allegramente alla discussione: Alexandria e Santorini devono essere contabilizzati a saldi aperti o a saldi chiusi? Ognuno dice la sua. Intervengono anche Banca d'Italia e Consob che l'8 marzo 2013 fanno un documento congiunto in cui, in modo obliquo secondo il loro costume, indicano a Mps la strada dei "saldi aperti". L'argomento è talmente controverso che le due autorità di vigilanza nazionale si rivolgono con un "interpello" all'International Financial Reporting Standards- Interpretation Committee (IFRS-IC) e all’European Securities and Markets Authority (Esma), ma i due organismi internazionali non trovano la risposta.

Fatto sta che alla fine Viola e Profumo fanno il bilancio con i saldi aperti, per una ragione che tutti sapevano: con i saldi chiusi Mps saltava, e saltavano oltre 100 miliardi di soldi dei correntisti. Eppure i due banchieri, chiamati a salvare Mps, vengono accusati adesso nella sentenza di aver agito in continuità con il "piano delinquenziale" (testuale) di Mussari, commettendo un falso in bilancio allo scopo di conseguire un "ingiusto profitto, principalmente in favore della banca stessa, parsa navigare in migliori acque grazie al falso, che ne ha accresciuto la percezione di affidabilità". Questo modo di amministrare la giustizia fa a pugni con il senso comune del popolo italiano in nome del quale si scrivono le sentenze. Viola e Profumo, per salvare la banca, hanno lanciato due aumenti di capitale a stretto giro, uno da 5 miliardi e uno da 3. Secondo i giudici di Milano la gente ha aderito, comprando azioni del Monte dei Paschi, perché ingannata dalla "spiccata capacità a delinquere" di Viola e Profumo. Come se nel 2013 gli italiani fossero tutti convinti che Mps fosse una banca sana. Come se in quegli stessi mesi il crac conclamato del Monte dei Paschi non fosse il cavallo di battaglia di Matteo Renzi nella sua scalata alla segreteria del Pd.

Tutti sapevano. Infatti, su ordine di Consob e Bankitalia, Viola e Profumo scrivono chiaramente nel bilancio che, avendo fatto la scelta dei saldi aperti, danno anche conto di come sarebbe stato il bilancio con i saldi chiusi, allegando le cosiddette tabelle "pro forma". Non solo. Più volte, nel corso delle continue assemblee di quei mesi, gli azionisti hanno contestato a Viola e Profumo la scelta dei saldi aperti, e i due hanno più volte spiegato il perché e il per come della scelte. Come si può sostenere che abbiano occultato o nascosto qualcosa agli azionisti e al mercato? Chiunque era dunque in grado di vedere le reali condizioni della banca indipendentemente dalla scelta del metodo di contabilizzazione, dicono gli avvocati difensori. No, replicano i giudici, il bilancio deve essere chiaro anche a un non esperto, e per dirlo impiegano decine di pagine. Giusto, ma anche le sentenze con cui si danno 6 anni di carcere in nome del popolo italiano dovrebbero essere comprensibili, se non a chiunque, almeno a chi non ha una doppia laurea in scienze bancarie e giurisprudenza.

Dopo 356 pagine scritte in una lingua ignota al 90 per cento dei laureati italiani, si arriva alla conclusione concreta. Per i giudici il bilancio 2012 è falso perché non dice tutta la verità. Solo che il reato è prescritto. Quindi sopravvive una fattispecie particolare. Il 29 aprile 2013 si tiene l'assemblea degli azionisti che approva i conti 2012 che per i giudici sono falsi e la sera la banca emette un comunicato che dice che cosa è accaduto in assemblea. Dove non viene approvato un bilancio falso per far gridare al miracolo della banca risanata. Macché: la banca espone una perdita di 3,2 miliardi e l'emersione della grana Alexandria e Santorini produce un buco di 800 milioni. Per questo solo comunicato stampa di poche righe obbligatorio per legge, Viola e Profumo, “pur se non materiali compilatori dei comunicati o preposti alla relativa diffusione”, si beccano 4 anni dei 6 totali in base al popolare brocardo "causa causae est causa causati" (così nel testo). Cioè, argomentano i giudici in modo del tutto illogico, se hai approvato un bilancio falso, anche la notizia che hai approvato il bilancio propala il falso ed è (art. 185 Tuf) "idonea a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari". I giudici ammettono che "nel corso del dibattimento non è stato possibile acquisire la prova dell’effettiva esistenza e consistenza dei pregiudizi dedotti", cioè l'ovvio, la azioni Mps non hanno fatto una piega e nessuno ha subito danni perché nessuno poteva essere ingannato sulle condizioni della banca. Però dicono anche che il reato di aggiotaggio si compie anche se non fa danno a nessuno. Vero, ma se non fa danno a nessuno cade anche il movente, la famosa “incetta di capitali”. Ma è come se in primo grado i giudici si sentissero liberi di sentenziare a fantasia perché tanto c'è l'appello.

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