L’ultima puntata della pluridecennale telenovela del ponte sullo stretto di Messina batte ogni record. La Camera dei deputati ha approvato a larghissima maggioranza (tutti a favore fuorché M5s e Leu) una mozione che «impegna il governo ad adottare le opportune iniziative al fine di individuare le risorse necessarie per realizzare un collegamento stabile, veloce e sostenibile dello Stretto di Messina estendendo, così, la rete dell’alta velocità fino alla Sicilia».

In sé è una dichiarazione di intenti di nessun rilievo pratico ma utile alla propaganda dei politici. Lascia però di stucco leggere come il parlamento italiano spiega al popolo a che cosa servirebbe il ponte: permetterà «di intercettare il traffico merci che, dal canale di Suez, oggi si dirige verso Gibilterra per puntare sui porti del nord Europa, quando invece la Sicilia con il porto di Augusta collegato all’alta velocità potrebbe rappresentare un hub strategico nel Mediterraneo». Ed è qui che «per poco il cor non si spaura».

Ciascuno dei deputati che hanno votato la mozione dovrebbe spiegarci chi ha avuto una pensata simile. Le porta-container bordeggiano la Sicilia e fanno il giro che le porta ai grandi porti del nord come Rotterdam, Anversa e Amburgo. Da lì i container vengono messi su lunghi treni e distribuiti in giro per l’Europa.

Qui scatta il colpo di genio: intercettiamo queste immense navi, le facciamo attraccare al porto di Augusta e da lì i container li mettiamo su treno con destinazione Europa: minimo 1.400 chilometri di ferrovia fino a Milano. Ci sono due piccoli problemi. Il primo è che far viaggiare i container in treno costa molto più che in nave: se non fosse così le merci arriverebbero in treno dalla Cina. E le navi si scaricano dove conviene economicamente, quindi più vicino possibile alla destinazione finale delle merci. L’idea di sbarcare i container 1.400 chilometri prima per farli proseguire in treno è semplicemente stupida.

E infatti, in un mercato libero, nessuno lo farà mai. Il secondo problema è quello dei numeri. Rotterdam, Anversa e Amburgo movimentano ogni anno 20 milioni di container in tutto. Si stima che circa un milione ritornino in treno verso l’Italia. Ipotizziamo, per assurdo, che Augusta “intercetti” quel milione di container. Caricati su treni da 50 carri produrrebbero 20 mila treni all’anno. Togliendo le domeniche e i circa 70 giorni in cui il ponte sullo stretto, stando al progetto, sarà chiuso a causa del vento, sarebbero circa 80 treni al giorno. Per tutto l’anno, giorno e notte, secondo gli strateghi che progettano un mondo migliore per le nuove generazioni, il ponte sarebbe attraversato da un treno di container ogni 18 minuti che poi proseguirebbe verso Salerno, Napoli, Roma e Milano rendendo le linee ad alta velocità inutilizzabili dai treni passeggeri.

Non si sa come un ponte leggero, progettato per flettersi come l’ala di un aereo sotto la spinta dei venti di Scilla e Cariddi, possa reggere tutto quel peso. E comunque, se proprio vogliamo scaricare i container nel Mezzogiorno per trasformare la penisola in un immenso retroporto, non si fa prima a far attraccare le navi a Gioia Tauro, in Calabria, lasciando in pace il povero ponte? È tutto talmente privo di senso da confermare l’antico sospetto che il ponte sullo stretto sia solo una fiera delle parole in libertà con cui la politica ama baloccarsi per non fare i conti con la realtà drammatica del Mezzogiorno. E scoraggia vedere che il governo Draghi, quello dei tecnici e dei migliori, su queste assurdità al servizio dei tweet dei politicanti ci mette pure la sua faccia.

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