Era il 1963 e nei cinema italiani usciva il capolavoro di Francesco Rosi, Le mani sulla città. La sceneggiatura era il frutto di più mani: Rosi stesso, Enzo Provenzale, Raffaele La Capria, Enzo Forcella. La trama è quella nota, un palazzinaro corrotto, Eduardo Nottola, viene reclutato nella lista del candidato sindaco, De Angelis.

Ci sono quattro minuti di pellicola, poco più, che si possono vedere su YouTube. Sono un dialogo tra un tale Balsamo, brav’uomo onesto, e De Angelis. Si svolge nella casa del secondo e vale riportarlo per intero.

Balsamo: «Sono venuto a chiederle di ritirare la mia candidatura alle elezioni. Non le sembri un tradimento in questo momento, ma io mi rifiuto di stare nella stessa lista con Nottola. Facciamo un’inchiesta, scopriamo che mezza amministrazione comunale meriterebbe di andare in galera e poi devo far finta di niente e tenermi Nottola seduto vicino in consiglio?»

De Angelis: «Veda, la questione non si pone in termini morali, la esamini dal punto di vista politico. Perché, bene o male, Nottola e i suoi compagni sono ancora una forza, ed è indispensabile per noi portarli dalla nostra parte».

Balsamo: «Indispensabile a che?»

De Angelis: «Per farci prendere la maggioranza».

Balsamo: «Va bene, prenderemo la maggioranza, ma in questo caso ci troveremo tutti nello stesso calderone e non potremo alzare più un dito contro nessuno. Nottola non cambia, lo sanno tutti chi è, e proprio noi ce lo dobbiamo dimenticare? Come possiamo pensare di guidare l’opinione pubblica quando abbiamo tra le braccia gente come quella?»

De Angelis: «Caro Balsamo, l’opinione pubblica la facciamo noi. Un grande partito come il nostro i Nottola li può digerire quando vuole. Ma pensi piuttosto alla responsabilità che si assume un uomo politico di fronte a questo dilemma: lei può cambiare la situazione da così a così e non lo fa per una questione di incompatibilità morale. E il bello è che facendo così lei non distrugge i Nottola, fa semplicemente finta che non esistano».

Balsamo: «Lei parla come se il potere fosse tutto. Io dirigo un ospedale, ma se non posso fidarmi dei miei medici che me ne faccio?»

De Angelis: «Li caccerà, li cambierà, cercherà di modificare, non lo so. Lo potrà fare, appunto, perché lei è il direttore».

Balsamo: «Già, ma se avessi saputo di dover collaborare con dei mascalzoni io non avrei mai accettato di fare il direttore».

De Angelis: «Bravo, e così lo sarebbe diventato un altro, forse peggio di lei. Caro Balsamo in politica l’indignazione morale non serve a niente. Il vero peccato sai qual è? Quello di essere sconfitti».

Da quello scambio frutto della finzione sono passati sessantuno anni, eppure quella battuta fulminante che chiude il dialogo – in politica il «vero peccato» è «essere sconfitti» – a lungo è riuscita a imporsi confinando sullo sfondo il tema fondamentale: dove va collocata la soglia oltre la quale l’acquisizione del consenso e la conquista del potere finiscono col violare i principi costitutivi di un’offerta politica trasparente e legittima?

L’errore di Conte

Ha detto giustamente Elly Schlein che nel Pd non solo non c’è posto alcuno per il voto di scambio o la compravendita di preferenze, ma che il compito che si è data dal giorno della sua elezione è prevenire e stroncare pratiche del genere.

La magistratura indagherà e farà piena luce sui fatti all’origine dell’inchiesta pugliese. Il sindaco Antonio Decaro ha guidato per dieci anni la città di Bari combattendo ogni infiltrazione criminale e i baresi oggi gliene danno atto ben oltre il solo perimetro della sua maggioranza.

Anche per questo, per aver chiuso gli occhi su questa verità, Giuseppe Conte ha compiuto un errore nel sottrarsi all’ultimo a elezioni primarie che avrebbero sancito l’unità di un centrosinistra vincente. La speranza è che quella unità si possa ricomporre nel breve attorno a un progetto comune.

Ma a noi, al Pd che deve e vuole rinnovarsi davvero, rimane l’eredità di quel dialogo formidabile di oltre mezzo secolo fa. La consapevolezza che il trasformismo, lo spregiudicato transito da destra a sinistra concepito come antidoto al solo vero peccato – «l’essere sconfitti» – troppe volte negli anni recenti ha inquinato etica e responsabilità di una sinistra innamorata del potere al punto da rimuovere le ragioni della sua stessa esistenza.

Ecco perché dovremmo finalmente aver compreso che l’unico vero antidoto allo smarrire di un’etica pubblica è cambiare tutto ciò che si deve cambiare perché, alla fine, sarà su questo e non sul numero di schede nell’urna che verremo tutti giudicati.

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