L’Europa ha deciso di fare sul serio nell’impegno su clima ed energia. La riunione dei ministri delle Finanze a Lisbona di venerdì scorso ha dato il via libera a un ampio progetto di revisione delle politiche fiscali con l’obiettivo di accelerare nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica.

La riforma di cui più si discute è la Carbon boarder tax, ossia un’imposta sui prodotti ad alta intensità di carbonio importati in Europa. Ma tra le riforme attese nei prossimi mesi vi è la revisione del mercato delle quote di scambio delle emissioni e della direttiva sulla tassazione dell’energia.

Generare gettito

L’obiettivo non è solo di spostare il peso della fiscalità sulle fonti fossili, eliminando i sussidi ancora in vigore, ma di generare gettito fiscale che permetta di spingere la crescita e ridurre le imposte sul lavoro. In questo modo si pone l’Europa alla frontiera più avanzata dell’innovazione ambientale e al contempo si difendono impianti e produzioni industriali dal dumping ambientale e sociale che ha falcidiato interi settori negli ultimi decenni.

È quantomeno strano che di questi obiettivi e di queste sfide non si parli in Italia nell’ambito della delega fiscale che il governo si è impegnato a presentare al parlamento entro luglio. La delega dovrebbe occuparsi di riforma dell’Irpef e del sistema tributario, di razionalizzazione e coordinamento della legislazione fiscale per mettere ordine e renderla più semplice e trasparente.

Questi stessi obiettivi si dovrebbero applicare anche alla fiscalità ambientale nel nostro paese, che è venuta crescendo e articolandosi nel tempo e che oramai sfugge a qualsiasi senso o obiettivo. Complessivamente parliamo di un gettito rilevante, pari a circa 58 miliardi di euro che in larga parte non è legato a impatti ambientali o di emissioni di gas serra, e che solo per l’1 per cento è indirizzato a premiare investimenti di recupero o innovazione ambientale.

Proviamo a fare qualche esempio. Le accise e l’Iva sui combustibili usati per i trasporti e per il riscaldamento degli edifici non sono legati alle emissioni di gas serra.

Eliminare gli ostacoli

Basterebbe eliminare queste storture per rendere oggi competitive le alternative a emissioni zero: dalle rinnovabili alla mobilità elettrica, alle pompe di calore per il riscaldamento. Stessa situazione per l’economia circolare, dove continuiamo ad avere canoni bassi per il conferimento a discarica e per le cave – in tre regioni è addirittura gratis – rallentando così recupero e riciclo dei materiali, che negli altri paesi europei garantisce il 30 per cento in più di occupati.

Per non parlare dei canoni che si pagano in Italia per le acque minerali o per le concessioni balneari. Da un governo europeista e ambientalista, per stare alle dichiarazioni del presidente del Consiglio, ci si aspetterebbe che questi temi entrassero nella delega fiscale. Anche perché l’intervento sulla parte energetica potrebbe essere fatto a parità di gettito, non spaventando così il ministero dell’Economia, e gli altri interventi aumenterebbero le entrate intervenendo su rendite che non esistono in questa forma in nessun altro paese europeo.

Tenere assieme queste riforme permetterebbe di dare un segnale chiaro per gli investimenti al mondo delle imprese e di affrontare la sfida sociale che la transizione climatica rischia di aprire per le fasce più deboli.

Perché quelle risorse potrebbero andare a politiche indirizzate alle famiglie che rischiano di vedere solo rincari da questi processi, senza beneficiare di vantaggi. Potrebbe essere l’occasione per passare da una politica di bonus ambientali a pioggia a una mirata nei confronti delle fasce sociali e delle aree del paese in difficoltà. Sono sfide che riguardano tutti i governi e che non possono più essere rinviate.

La delega fiscale è un’occasione per dimostrare che la transizione ecologica non è uno slogan ma una chiave per disegnare il futuro del paese.

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