La scelta, ardua e coraggiosa, che un governo nato sotto mediocri auspici era stato capace di mettere in campo, a marzo, ha spiazzato un po’ tutti, in Italia e all’estero. Le opposizioni, il mondo dei media, le Regioni in quei mesi di chiusura ermetica e poi di graduale apertura (fino a metà giugno) hanno usato parole forti contro il governo – accusato spesso di sovietismo, di essere un leviatano sanitario, di statalismo autoritario, ecc.  In primavera, le Regioni hanno contestato la chiusura indifferenziata su tutto il territorio nazionale.

Come dimenticare le contumelie del presidente della Campania De Luca per la penalizzazione della parte sana del paese a causa del Nord contagiato? Poi è arrivata l’estate, e a quel punto i presidenti di Regione hanno sfoderato il loro attivismo normativo, aprendo tutt e allentando il distanziamento sul mezzi pubblici di trasporto.

Sui treni regionali in Emilia-Romagna, la normativa annunciata ai viaggiatori da fine giugno diceva che potevano ignorare le indicazioni di sedute alterne a patto che indossassero la mascherina.

Da fine giugno non solo i cittadini, come era prevedibile e anche giustificabile, si sono presi una vacanza dalla prudenza, ma anche i governi regionali e locali, che, invece, avrebbero dovuto essere i guardiani della prudenza in vista dell’autunno, e della prevista nuova ondata di contagi. 

La fatale e graduale ripresa del contagio, da fine settembre, ha definito un nuovo scenario. Il governo sembrava aver appreso la lezione della condivisione dei compiti di salute pubblica con i governi regionali. Il tentennare di Giuseppe Conte a intervenire subito con misure stringenti si univa alla strategia di concordare con le Regioni le misure da prendere nei territori, secondo la regola sussidiaria del titolo quinto della Costituzione: l’autorità vicina è la prima a poter e dover intervenire. 

Nel corso di questi mesi abbiamo constatato quanto grande sia il potere delle Regioni. E che cosa ne è derivato? I Presidenti di Regione dopo aver criticato il governo centrale perchè non li aveva coinvolti nella decisione di chiudere tutto, si sono in queste ultime settimane come acchetati, usando il loro protagonismo per chiedere a viva voce l’intervento del governo centrale.

In un paese uno-e-multiplo, nessuno sembra ora volere una corresponsabilizzazione.

La responsabilità è ambita, sembra di capire, se e quando associata a decisioni che fanno buona publicità a chi le prende – tagliare i nastri, aprire i commerci, alleggerire i divieti: tutto ciò piace molto.

Decidere di chiudere, reprimere, togliere spazio – questa è una di quelle responsabilità che i presidenti di Regione hanno mostrato di non gradire. E dopo aver gridato all’esproprio delle loro prerogative di governo, sembrano voler lasciare volentieri l’onere dei divieti a Palazzo Chigi.

In questa crisi che richiederebbe solidarietà nazionale a partire dai territori, le Regioni hanno dimostrato di essere parte del problema, anche a causa di quel coarcervo di poteri concorrenti e mal definiti messo in piedi dal titolo quinto.

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