La politica estera dell’Italia repubblicana si fonda sui valori umanitari della pace e del rifiuto della guerra, e indica nel multilateralismo la strada da percorrere per promuovere tali valori. Su questi princìpi, anche nel corso della Guerra fredda, non ci sono stati disaccordi.

La convinzione che l’Italia fosse innanzitutto un paese che promuoveva la pace era – ed è – condivisa da tutte le forze politiche e anche da gran parte dell’opinione pubblica. Grazie a questo background culturale le numerose missioni militari italiane all’estero sono state sempre presentate, e accettate, come operazioni di pacificazione (interventi di peace-keeping o peace-enforcement), benché operassero in teatri di conflitto.

Persino sulla nostra presenza in Afghanistan e in Iraq, dove si combatteva una guerra a tutti gli effetti, venne stesa una spessa cortina fumogena “pacifista”: i temi dominanti nelle discussioni parlamentari ruotavano sempre intorno al ruolo di interposizione tra le parti e di sostegno alle popolazioni civili.

Solo quando, nel 2009, sinceramente o improvvidamente, il ministro della Difesa del governo Berlusconi, Ignazio La Russa, definì l’intervento italiano contro i Talebani una azione di guerra, il consenso crollò di colpo: era stato sollevato il velo della realtà sul terreno.

La missione militare italiana in Afghanistan è ora terminata ma rimangono aperti molti altri fronti in cui sono impegnati i nostri soldati. In primis l’Iraq, dove abbiamo il comando della coalizione occidentale. L’Italia ha quindi una proiezione internazionale rilevante. Eppure, l’attuale esecutivo non si è segnalato per un particolare attivismo.

La voce dell’Italia non si sente. In questa crisi il presidente del Consiglio, Mario Draghi, è stato l’ultimo tra i leader europei a intervenire, Emmanuel Macron si era già rivolto ai francesi con un discorso alla nazione e Boris Johnson aveva riunito più volte il gabinetto di emergenza. Ma soprattutto mancano proposte incisive in grado di coinvolgere la comunità internazionale o almeno i paesi dell’Unione Europea. Da una personalità come l’ex governatore della Bce ci si attende qualcosa di più di un piccolo cabotaggio.

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