Per un giudizio compiuto sulla Nadef e la manovra di bilancio che essa prefigura bisognerà attendere la pubblicazione del documento che, come ormai è (cattiva) tradizione, anche quest’anno slitta oltre la scadenza di legge del 27 settembre. Tuttavia, basandosi sul comunicato del governo e sulle dichiarazioni dei ministri, il quadro generale è abbastanza chiaro. La Nadef di settembre rivede gli obiettivi di finanza pubblica del Def di aprile aumentando il disavanzo di circa mezzo punto di Pil all’anno nel triennio 2024-2026, nonostante rispetto allo scorso aprile il quadro macroeconomico sia rimasto sostanzialmente invariato (la previsione del tasso di crescita del Pil nominale è più bassa di due decimi di punto per il 2024, più alta di due decimi per il 2025, invariata per il 2026). A rigore non dovrebbero esserci motivazioni sufficienti per richiedere al Parlamento, come previsto dalla Costituzione, di approvare (con voto a maggioranza assoluta) la revisione degli obiettivi. Ma questa è un’altra cattiva tradizione: dalla riforma costituzionale del 2014, a settembre l’autorizzazione a fare più debito è sempre stata richiesta (con solo un paio di eccezioni). Tradizione che non contribuisce certo alla credibilità della politica di bilancio italiana, in particolare oggi quando si discute di una riforma delle regole fiscali europee, cui l’Italia è favorevole, che si baserà sulla redazione di piani pluriennali concordati tra la Commissione e i singoli paesi. Come potremo pretendere di rispettare un programma a quattro anni se non siamo (quasi mai) stati in grado di mantenere un programma a sei mesi?

Privatizzazioni foglia di fico

Si potrà dire, comunque, che la revisione è poca cosa (un maggior disavanzo nel 2024 di 14 miliardi). Ma se si guarda al percorso di riduzione del debito può essere la goccia che fa traboccare il vaso. Nel Def si immaginava di ridurre il debito di 1,7 punti di PIL in tre anni, ora con la Nadef la riduzione sarebbe di soli 0,6 punti. Di fatto ci si propone di mantenere costante il debito. Con rischi notevoli che invece esso ritorni ad aumentare. Innanzi tutto le previsioni sulla crescita economica incorporano il rispetto delle scadenze nella realizzazione del Pnrr (cosa su cui c’è da dubitare). Poi il disavanzo potrebbe essere ancora più alto. Si vocifera di una manovra da 30 miliardi con, quindi, 16 miliardi di coperture delle quali si sa poco o niente. Il fatto che si torni a parlare di privatizzazioni (Malagutti ieri su questo giornale), classica foglia di fico di molte manovre, non lascia tranquilli.

Eppure i prossimi due-tre anni sarebbero un periodo favorevole. Ancora fino al 2025, infatti, il tasso di crescita del Pil nominale sarà superiore al costo del debito, in altre parole il vecchio debito crescerà meno del Pil e quindi, senza nuovo debito, il rapporto si ridurrà. Per l’Italia, nel decennio dalla crisi finanziaria alla pandemia è sempre stato vero il contrario e, secondo le previsioni, tornerà ad esserlo dal 2026. Questo spiega un certo nervosismo dei mercati, che fa sì che oggi l’Italia paghi un tasso di interesse sui titoli decennali superiore di due punti percentuali rispetto alla Germania, di un punto e mezzo rispetto alla Francia, di un punto rispetto a Portogallo e Spagna.

La crescita che non c’è

La questione è proprio la prospettiva di crescita di medio periodo dei singoli paesi. Un maggiore disavanzo può sostenere la crescita ma occorre che le misure introdotte vadano in questa direzione. Vedremo la legge di bilancio. Da quello che si intuisce oggi non sembra si stia andando nella direzione giusta.

Qualche esempio. Il sostegno alle famiglie dovrebbe favorire l’occupazione femminile, quindi occorrono asili nido e tempo pieno nelle scuole molto più di fantasiose agevolazioni fiscali. Nella spesa sociale l’emergenza è la sanità, con una spesa tornata ai livelli pre-pandemia. Invece si continua a destinare risorse al pensionamento anticipato.

Il ministro dell’Economia fa giustamente notare che sulla traiettoria del debito pesa un esborso di 20 miliardi l’anno per il superbonus. E’ vero ma di questo la responsabilità è collettiva, senza alcuna eccezione: tutte le forze politiche in Parlamento, incluse quelle dell’attuale maggioranza, si sono opposte ai tentativi di Draghi e del ministro Franco nel corso del 2021 di depotenziare lo schema. Ancora oggi comunque continuano a fiorire bonus vari, come uno annunciato per l’acquisto di frigoriferi e lavatrici, per non parlare di quello per le barriere architettoniche che consente a chiunque, a prescindere dalla presenza di invalidi, di usufruire di un credito di imposta cedibile del 75% per rifare gli infissi della propria abitazione.

Infine, la grande scommessa per aumentare la crescita di medio periodo dell’Italia è il Pnrr, eppure mentre si cancellano o rinviano quei progetti di investimento si pensa di destinare nuovi finanziamenti al mitico ponte sullo Stretto.

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