Gli osservatori internazionali sono sconcertati da una crisi al buio che si apre nel mezzo di una pandemia, cioè di una emergenza sanitaria ed economica senza precedenti dai tempi della Seconda guerra mondiale: mentre in queste settimane tutte le energie dovrebbero concentrarsi su come contenere la diffusione del Covid, sul piano di vaccinazione, sui ristori per le categorie colpite, su come impostare e gestire il Recovery Plan, sulle necessarie riforme (dall’amministrazione alla giustizia, al fisco) da fare per accompagnare il più grande piano di investimenti a disposizione del nostro paese.

Sono ugualmente sconcertati gli altri governi europei. Sono preoccupate le forze democratiche e progressiste di tutto l’Occidente, i sostenitori della democrazia liberale ovunque nel mondo che si erano rallegrati per la vittoria di Joe Biden: proprio adesso in Italia potrebbero tornare al governo gli alleati dichiarati di Donald Trump, cioè Matteo Salvini e Giorgia Meloni, con due anni di anticipo sulla scadenza naturale della legislatura.

Sono altrettanto sbigottiti gli italiani. Il 70 per cento dei cittadini, secondo un sondaggio su La Stampa del 13 gennaio, di fronte alla crisi di governo prova rabbia, preoccupazione o sconcerto (solo il 5% è interessato). Hanno ragione.

L’Italia era impantanata da più di vent’anni fra le secche di un declino economico, sociale e politico da cui non si trovava via di uscita.

Adesso ha l’opportunità di venirne fuori, grazie all’aiuto dell’Europa (un aiuto che questa maggioranza ha contribuito a rendere possibile), e dopo avere recuperato faticosamente un’immagine di relativa affidabilità nel consesso internazionale. Ma l’opportunismo di una parte della politica, calcoli di breve respiro o di piccolo tornaconto stanno rischiando di mandare tutto in alto mare. E in piena tempesta, fra l’altro: così si va dritti verso il naufragio.

È la stessa logica opportunistica che ha contribuito in passato, colpo su colpo ma inesorabilmente, al declino del nostro paese: prima negli anni Settanta e Ottanta con la spesa irresponsabile e la corruzione, poi ancora nella Seconda Repubblica soprattutto con i governi di centro-destra; quindi negli ultimi anni con il rapido susseguirsi di «uomini forti» che rapidamente salivano nei consensi e altrettanto rapidamente crollavano. Ora questa crisi sembra avverare tristemente la profezia sul declino dell’Italia. Per la responsabilità della politica. Di una parte della politica che (per quanto piccola) continua ad essere decisiva.

Intendiamoci. Se una forza di maggioranza ritiene che l’azione del governo non sia adeguata, del governo di cui fa parte con ministri e sottosegretari, ha il dovere di chiedere dei correttivi.

Questi sono stati chiesti da più parti nelle ultime settimane (anche dal Partito democratico) e i risultati – i cambiamenti introdotti nel Recovery Plan – dimostrano che rilanciare l’azione del governo Conte è possibile. Si sono condotte trattative, come è normale in democrazia e fra alleati, ma alla fine sul Recovery si sono trovate delle soluzioni che hanno soddisfatto anche Italia Viva. È l’abc del riformismo.

Perché allora far cadere il governo? Forse perché si pensa di avere un’alternativa migliore. Anche questo è legittimo, beninteso. Ma il problema è che quell’alternativa non esiste.

L’unica possibilità sono le elezioni, nel pieno della pandemia; oppure l’uscita di Italia Viva dalla maggioranza per fare posto ai «responsabili» (con quale miglioramento, dal suo punto di vista, per il governo del Paese?). Ed è a questo punto che l’azzardo renziano, da qualunque prospettiva lo si voglia considerare, sotto qualunque luce anche la più favorevole, si rivela per quello che è: il canto del cigno dell’opportunismo politico in Italia. Il triste suggello sul declino del paese.

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