Boris Johnson ha capitolato alle richieste del suo Cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, che da tempo gli chiedeva coperture per far fronte agli importanti impegni di spesa post pandemia e, lasciandosi alle spalle la sua inclinazione a temporeggiare oltre che un’importante promessa elettorale dei Conservatori, ha annunciato l’aumento dei contributi sociali e delle imposte sui dividendi per finanziare il servizio sanitario nazionale e le cure di lungo termine per disabili e anziani.

Le nuove tasse

Il National Insurance contribution, prelevato dalle buste paga e a carico di aziende e lavoratori, aumenta dal prossimo aprile di 1,25 per cento per chiunque guadagni più di 9.564 sterline l’anno, violando l’impegno elettorale che prometteva nessun aumento su imposte dirette, e contributi.

Si tratta di una fonte di gettito che colpisce i lavoratori e non i pensionati, che da tale contribuzione sono esentati, tranne quelli che lavorano dopo il raggiungimento dell’età per la pensione di stato.

Il governo Johnson ha deciso anche di aumentare della stessa percentuale il

prelievo sui dividendi, per sfuggire alle critiche di aver tartassato il lavoro lasciando indenne il capitale.

Il gettito complessivo stimato è di 36 miliardi di sterline in un triennio, destinati a potenziare il servizio sanitario nazionale, in difficoltà con le crescenti liste d’attesa a causa del Covid ma soprattutto a finanziare la cosiddetta social care, cioè l’assistenza socio-sanitaria ad anziani e disabili gravi, che da molto tempo i governi britannici tentavano di riformare in senso meno devastante per le famiglie.

Da ottobre 2023, il nuovo sistema di social care introdurrà la prova dei mezzi sul patrimonio dei beneficiari. Chi ha risparmi per meno di 20.000 sterline non pagherà nulla, chi ha beni compresi tra 20.000 e 100.000 sterline otterrà supporto parziale e parteciperà ai costi entro il tetto massimo di 86.000 sterline.

La destra delle imposte

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La decisione di Johnson ha suscitato malumore tra i parlamentari conservatori, che quest’anno hanno già dovuto ingoiare l’aumento di imposte chiesto e ottenuto da Sunak, che dal 2023 porterà l’aliquota d’imposta sulle società dal 19 per cento al 25 per cento, introducendo una tassazione progressiva in cui le piccole aziende con utili inferiori a 50.000 sterline pagheranno ancora il 19 per cento mentre quelle con utili superiori a 250.000 sterline (circa il 10 per cento del totale) pagheranno la nuova aliquota piena. Una misura che lascia perplessi per le modalità applicative: rendere progressiva la tassazione dei redditi d’impresa rischia infatti di produrre distorsioni ed elusioni.

Nei giorni scorsi, il governo britannico ha dovuto violare anche un decennale privilegio dei pensionati, relativo alla indicizzazione della pensione di base (che è di importo piuttosto basso). Ogni anno, la rivalutazione dell’assegno pensionistico è pari al maggiore tra tasso d’inflazione, crescita delle retribuzioni e 2,5 per cento. Quest’anno, per una aberrazione statistica legata alla pandemia, l’aumento sarebbe stato superiore all’8 per cento. Il governo non applicherà la regola, risparmiando alcuni miliardi di sterline.

Johnson, a differenza di Sunak, non si può definire conservatore fiscale, ed ha anzi spesso esorcizzato il ritorno dell’ “austerità”. Il partito si trova combattuto tra la protezione degli elettori strappati al Labour nelle zone del Nord depresso e la tradizionale base elettorale Tory. Ciò rischia di creare tensioni col vincolo di realtà, prima che con quello di bilancio.

Di certo, la profondità del danno inflitto ai conti pubblici dalla pandemia, oltre che la persistente incertezza legata alla Brexit,  è tale da aver spinto Sunak a premere per un aumento di imposte. Lo stesso Johnson, nella sua ritrovata vena “sociale”, aveva comunque ben chiaro che tentare di normalizzare i conti pubblici puntando solo a tagli di spesa sarebbe stato penalizzante sul piano del consenso.

Meglio che in Italia

A questo punto, ci si attende il solito festoso coro di commentatori italiani intonare il canto “facciamo come”, seguito dal nome del paese a cui ispirarsi.

Peccato che, prima dell’annuncio di Johnson, la pressione fiscale britannica fosse stimata, al 2025, pari al 35 per cento del Pil. Certo, il massimo dagli anni Sessanta ma pur sempre 6-8 punti percentuali sotto quella italiana attuale.

Attenzione quindi alle condizioni di partenza. Sono ciò che determina i margini di realistica manovra. Di certo, continuare a ispirarsi all’estero cogliendo fior da fiore maggiori spese e maggiori imposte è il modo migliore per non diventare adulti.

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