È tempo di ripensare l’approccio con i conti pubblici italiani. Non c’è spazio per una riduzione della pressione fiscale, viste le esigenze di spesa pubblica e la necessità di ripercorrere un sentiero di riduzione del debito pubblico. Anzi, è tempo di puntare su un sostanziale recupero dell’evasione fiscale, mentre è opportuno rinunciare a ipotesi di riduzione delle tasse per categorie di reddito medio.

Ne è un segnale la crescita dello spread da quando è stato pubblicato il Nadef con le sue stime di (poca) crescita del paese e di arresto nella diminuzione del rapporto debito pubblico su PIl nei prossimi anni. Lo spread ha iniziato ad aumentare fino a superare i 200 punti base per alcuni giorni.

Il motivo del nervosismo sui mercati finanziari è evidente: la scarsa crescita dell’economia non favorisce una riduzione del peso del debito pubblico.

Al tempo stesso, le ipotesi di controllo della spesa pubblica sono troppo limitate e solo un’ipotetica e ben difficile vendita di asset pubblici per 20 miliardi di euro garantisce che il debito pubblico non cresca ulteriormente rispetto al PIL nel corso del prossimo anno.

Convincere l’Europa

In queste condizioni, la tenuta dello spread attorno ai 200 punti base dipende essenzialmente dal giudizio che la Commissione Europea e la BCE avranno delle ipotesi di bilancio italiano. Infatti, la BCE ha, fra le sue facoltà, quella di intervenire sui mercati qualora lo spread di un paese fosse “non giustificato” da fatti reali, ma fosse essenzialmente un fenomeno speculativo, e questo per evitare una frammentazione dei mercati finanziari all’interno dell’area dell’euro (TPI, ossia Transmission Protection Instrument).

Per la BCE diviene dunque rilevante che gli eventuali attacchi del mercato finanziario ai titoli di stato italiani non siano giustificati da ipotesi di finanza pubblica fuori dal controllo e, perciò, diviene importante il suo giudizio sull’ipotesi di finanza pubblica prevista dal Governo. Un analogo giudizio dovrà essere formulato dalla Commissione Europea a cui spetta il compito di valutare ed armonizzare i progetti di bilancio dei vari paesi europei.

L’Italia dovrà dunque convincere le istituzioni europee di aver fatto tutto il possibile per tenere sotto controllo i conti pubblici e che le spese programmate sono utili per la crescita dell’economia e necessarie dal punto di vista sociale. In questo senso, se la riduzione del cuneo fiscale risponde alla logica di difendere il potere d’acquisto dei redditi più bassi e garantire così una tenuta dei consumi interni, ben difficile appare da difendere l’ipotesi di aumento dell’area della flat tax e la riduzione delle aliquote fiscali per i redditi medi e elevati in questa fase congiunturale.

Tanto più che, mentre la riduzione del cuneo fiscale è prevista per un anno, la flat tax e la rimodulazione delle aliquote fiscali hanno un valore permanente e incideranno per tutti gli anni a venire.

La pressione fiscale

In effetti, il bilancio pubblico italiano non ha spazio per una riduzione della pressione fiscale che non serve per sostenere l’economia e che costringe a ridurre spese necessarie, come quelle per la sanità. Per quanto possa sembrare impolitico in questo momento, dovremmo abolire la flat tax per i lavoratori autonomi e riportare i loro redditi entro la fiscalità progressiva, così come avviene in tutti i paesi.

Inoltre, le informazioni disponibili presso l’agenzia delle entrate e la facoltà di controllare i flussi di pagamenti da parte della Guardia di Finanza sono tutti elementi che potrebbero portare ad un consistente recupero dell’evasione fiscale e garantire così alle casse dello Stato quelle risorse necessarie per finanziare servizi pubblici decenti assieme a una riduzione del debito pubblico.

Se così facessimo, potremmo assistere ad una riduzione dello spread significativa che potrebbe consentire nei prossimi anni una riduzione della spesa per interessi che, a sua volta, libererebbe nuovi spazi per la politica fiscale.

E questa volta sarebbe veramente possibile ridurre la pressione fiscale, senza generare la spirale negativa del debito pubblico. Oggi non è tempo per ridurre la pressione fiscale con il rischio di doverla poi aumentare nuovamente in maniera significativa in seguito al prodursi di nuovi squilibri che deprimerebbero definitivamente ogni possibilità di crescita del nostro paese.

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