E’ una buona notizia la prossima nomina di un commissario nazionale contro la siccità. Dimostra che il Governo ha compreso la dimensione di una crisi che dura da più di un anno e che potrà solo aumentare nei prossimi mesi, che riguarda tutto il Paese ma in particolare la pianura padana dove la situazione è davvero drammatica con impatti ambientali e sulle attività agricole, sulla produzione energetica. Servono risposte immediate per fronteggiare i prossimi mesi e al contempo occorre disegnare un nuovo modello di gestione di una risorsa che diventerà sempre più preziosa.

Per questo sarà un banco di prova importante per il Governo Meloni, che dovrà dimostrare di essere disponibile ad aprire un confronto su un tema così complesso. Perché nessuno ha la bacchetta magica ma al contempo non basta l’approccio muscolare o ideologico. Per verificarlo bisognerà guardare in particolare a due questioni: quali priorità di intervento verranno scelte e quali gli attori istituzionali coinvolti.

Non siamo in balia del destino

Questa siccità non è un evento improvviso, terribile come altri che periodicamente capitano in un Paese a forte rischio idrogeologico e sismico. Siamo dentro un processo di riscaldamento del Pianeta in cui lunghi periodi di siccità saranno la nuova normalità a cui dobbiamo prepararci. La buona notizia è che siamo un Paese ricco di acqua e di opportunità per fronteggiare la situazione nei prossimi anni. Se non lo abbiamo fatto in questi anni è per una gestione inadeguata, con investimenti sbagliati o in ritardo, mancati controlli ma anche un ritardo culturale nell’affrontare i problemi.

Non basta dire che si sbloccheranno i cantieri fermi e che si punterà su dighe, desalinizzatori e nuovi bacini di raccolta. Perché possono essere un ennesimo spreco di risorse se non sono fatti dove ha veramente senso ed è più urgente. Se invece lo scenario in cui si collocano gli interventi è quello definito dal Piano di Adattamento climatico presentato poche settimane fa dal Ministro Pichetto Fratin, l’ordine delle priorità è chiaro. In primo luogo, si devono ridurre perdite e sprechi ancora superiori al 40% secondo Istat.

Secondo, dai depuratori escono 9 miliardi di metri cubi di acqua pulita all’anno, pari a circa due terzi dei consumi complessivi. Quest’acqua deve essere utilizzata per tutti gli usi compatibili: industriali, di irrigazione del verde, ma anche in agricoltura. Come sarebbe possibile per le norme europee ma non per quelle italiane che vanno aggiornate.

Stesso ragionamento vale per quelle meteoriche, che non vanno buttate in fogna ma raccolte in invasi o cisterne, reimmesse in falda o utilizzate per tante funzioni dove vanno benissimo. Già solo facendo questo, metà dei fabbisogni teorici potrebbe essere soddisfatto riducendo i consumi della preziosissima acqua potabile.

Se ci sommiamo le riduzioni delle perdite la situazione può tornare gestibile nei prossimi anni, soprattutto se i maggiori consumatori di acqua – ossia gli agricoltori – vengono coinvolti in un processo di innovazione nella gestione e consumo.

Pare che la ragione del rinvio della nomina del Commissario siano le Regioni. Fino ad oggi l’unica certezza del governo Meloni è che, qualsiasi sia la decisione da prendere, prima si deve avere il loro consenso. In questo caso, come per tanti altri, il ruolo delle Regioni è la causa dei problemi. Prima di tutto perché nella definizione delle priorità scompaiono i veri problemi ma si applica un approccio distributivo, e poi perché in caso di inerzia Ministri e Commissari fanno finta di non vedere per non aprire uno scontro politico. Se si vogliono davvero affrontare le questioni serve un organo nazionale di coordinamento e definizione delle priorità – come ai tempi della Struttura di Missione di Renzi –, con poteri sostitutivi. E poi un lavoro a stretto contatto con i soggetti che l’acqua e il territorio conoscono e gestiscono, ossia le Autorità istituite per i sette distretti idrografici in cui è diviso il Paese, gli ATO che gestiscono il servizio idrico integrato nelle diverse aree del Paese e, infine, i Comuni che si trovano a gestire al contempo siccità e alluvioni. Se invece la Meloni vuole approfittare della nomina del Commissario per velocizzare qualche intervento e trattare con le Regioni il fallimento sarà scontato, ma poi bisognerà spiegarlo a imprese agricole e energetiche in lotta per chi ha più diritto a quell’acqua, e fare i conti con le proteste di cittadini a cui si dovrà razionarla e portarla a caro prezzo con le autobotti.

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