Non solo Macron. È la crisi sistemica della Francia

La carretta della ghigliottina manovrata dai partiti si è abbattuta su Sebastien Lecornu, quarto primo ministro nominato dal presidente Macron in questo suo secondo mandato, dimissionario dopo avere appena formato il suo governo. La storia politica francese è stata un susseguirsi di scossoni, rotture violente o istituzionali, tensione costante fra libertà e bonapartismo; quella di oggi sembra invece riproporre il grigiore della IV Repubblica trascinatasi nella e debolezza dei suoi governi fino al tournant della Costituzione di De Gaulle del 1958. L’atmosfera è quella, si annusa nella litigiosità dei partiti, nel parlamento-arena che la rappresenta, nell’indebolimento progressivo di Macron, con l’aggiunta delle continue manifestazioni di protesta esplose in questi mesi. Egli arriva al potere nel 2017 e lui, l’inattendu, si propone marciando verso il rinnovamento, definendo la vecchia politica come «stelle morte che non mandano più luce», armato di pragmatismo, di molti giovani seguaci, di vecchi legami che faranno presto parte della sua cerchia e dei suoi governi. EnMarche era come un teatro di strada, un vento che coinvolgeva tutti al suo passaggio, un ircocervo che portò al potere il giovane Macron e poi cambiò nome e divenne il suo partito; il suo motto era ni droite, ni gauche, o anche et droite et gauche; niente più ideologie ma la politica del fare in consonanza con le idee del leader. Mentre Macron si prepara a legislative anticipate, il fronte di sinistra si decompone Eletto presidente nomina un primo ministro di destra, Edouard Philippe, ma lo attendono subito prove importanti; i gilets jaunes, movimento di protesta delle zone periurbane attorno a Parigi, esplode nella capitale risvegliando l’anima barricadera francese su temi precisi come il prezzo della benzina, richiesta di aumento dei salari e referendum di iniziativa popolare. Macron sfodera la sua anima moderata, risponde reprimendo duramente un movimento che coinvolge strati sociali diversi e che, pur negli eccessi di frange estremiste al suo interno, esprime un disagio sociale innegabile, coinvolge piccoli imprenditori, famiglie, impiegati che chiedono di avere voce. Il neo presidente che aveva promesso di unificare la Francia per un grande destino, la unifica invece nella protesta come forse mai si era visto dopo il terremoto del 1968. L’anno dopo arriva il progetto di Macron sulla riforma delle pensioni, tema che alza l’età pensionabile e scontenta varie categorie. Non sarà portato a termine ma rimandato di qualche anno. La fiducia in Macron scende al minimo storico, circa il 23 per cento. A poco vale il grand débat national promosso per cercare un legame con la società, in una gestione solitaria e molto verticalizzata del potere; di fatto sono preconfezionate le domande poste al presidente e il rapporto con gli amministratori locali è spesso inesistente. Dopo la difficile campagna per le presidenziali del 2022 (lo chiamano “le président des riches”), ma la svolta determinante arriva dopo la sconfitta cocente del partito di Macron alle europee del 2024 (il 17 per cento soltanto della sua lista contro il 32 per cento del RN di Le Pen) Questo spiega la dissolution del parlamento pronunciata da Macron, ma le elezioni politiche del 2024 registrano un’altra debacle del suo partito (solo 166 deputati rispetto ai 250 di prima) mentre la sinistra riunita nel NFP è il primo partito. Per la prima volta il presidente che non ha più le spade del suo potere, cioè la maggioranza assoluta in parlamento, solo invece quella relativa, è stato salvato da un accordo di desistenza messa in atto dalla sinistra a suo favore. Questo ha cambiato lo scenario politico della V Repubblica e i suoi effetti arrivano presto. Finisce cioè il “fatto maggioritario” per il quale il presidente poteva incarnare la nazione, era il “sovrano eletto” e con una maggioranza solida aveva poteri incontestabili. Il macronismo ne esce azzoppato e molte sono le defezioni al suo interno. Macron sceglie un altro fedelissimo: il suo “clone” Lecornu diventa premier Ora il sistema politico è frammentato fra una sinistra variegata, una destra estrema e un centro liberale di cui Macron non è più il cavaliere vincente. Questo spiega la crisi attuale: una forte instabilità governativa, un presidente dimezzato, quattro primi ministri falliscono cercando un compromesso che - ha affermato Lecournu - risulta impossibile per «l’atteggiamento partigiano di alcuni partiti politici». È una crisi sistemica annunciata. La grande cattedrale politica costruita da De Gaulle, l’equivalente di Notre Dame per il sacro dei re, per varie ragioni ormai da anni inclina verso un parlamentarismo disordinato, il sistema è inceppato: la crisi è strutturale più che legata alla qualità delle persone anche se le due cose si intrecciano. Macron marcia da solo: non sappiamo se sceglierà di cedere alle richieste della sinistra, cosa più probabile, per rimanere in sella o azzarderà una dissolution del parlamento molto rischiosa ora. Un’altra stella morta si aggiunge alla vecchia politica.