C’è una grande attesa che l’introduzione dell’intelligenza artificiale (Ai) faccia aumentare la produttività dei nostri paesi. In questo senso si sono espressi diversi economisti e centri di analisi. È certo che l’Ai sarà capace di aumentare le produttività di singoli lavoratori e imprese, ma porterà anche a un aumento di produttività per tutto il paese?

C’è da dubitarne, a partire dall’esperienza più prossima, quella degli ultimi trenta anni, caratterizzati dalla più potente innovazione tecnologica, quella del digitale che non sembra aver avuto come risultato un aumento della produttività complessiva. Già in passato, all’epoca dell’introduzione del computer in ogni impresa e in ogni attività umana, si constatò come questa tecnologia non fosse stata accompagnata da un aumento di produttività nei sistemi economici.

Fu il premio Nobel Solow che nel 2007 disse che «si vedono computer ovunque tranne che nelle statistiche della produttività». La cosa destava meraviglia perché nel dopoguerra la consistente introduzione di innovazioni tecnologiche avevano portato a un aumento della produttività nei nostri paesi assieme a una forte crescita, sicché si era creata una sorta di sillogismo tra innovazione, produttività e crescita. Con l’avvento del digitale, di internet e di tante innovazioni collegate, constatiamo nei nostri paesi una sorta di stagnazione della produttività o per lo meno di una crescita relativamente modesta se confrontata con quella del passato.

La produttività

Perché questo andamento deludente? In realtà l’innovazione genera sempre un aumento di produttività nelle imprese e nei settori che l’adottano e questo aumento di produttività si traduce in una riduzione nell’uso dei fattori della produzione, in particolare del lavoro. I settori che aumentano la loro produttività riducono in proporzione l’assorbimento di lavoro e questo lavoro finisce per essere impiegato in altre attività.

Negli anni del dopoguerra l’uscita di lavoratori soprattutto dall’agricoltura, che conosceva grandiosi aumenti di produttività, fu instradata nei settori industriali e dei servizi, ossia in settori con un prodotto per addetto (che è anche una misura della produttività) decisamente superiore a quello dell’agricoltura, sicché il passaggio del lavoro da agricoltura agli altri settori si accompagnò a un aumento complessivo della produttività (prodotto per addetto) e di crescita economica, dato che aumentavano anche i redditi dei lavoratori e delle loro famiglie.

Negli ultimi trenta anni, invece, l’aumento di produttività delle imprese ha riguardato essenzialmente l’industria e i grandi comparti dei servizi (banche, assicurazioni, trasporti, ecc.) che hanno ridotto, in termini relativi, il loro assorbimento di occupazione, sicché il lavoro si è trasferito essenzialmente verso attività a prodotto per addetto più basso (ristorazione, commercio, cura delle persone, ecc.) ovvero in occupazioni marginali, anche perché contemporaneamente è diminuito il tasso di crescita delle nostre economie.

D’altra parte, una teoria consolidata in campo economico vede la produttività come dipendente dal tasso di crescita dell’economia, sicché se un paese cresce poco, difficilmente potrà avere un tasso di produttività elevato perché significherebbe una grossa perdita di lavoro ben remunerato che finirebbe per rifugiarsi nelle attività marginali disponibili pur di realizzare una qualche he remunerazione.

Lavori precari

Bisogna sempre ricordare che, se c’è una crescita bassa e se la gente non trova il lavoro desiderato, deve accontentarsi di lavori marginali e precari per sopravvivere e, questi comportamenti obbligati finiscono per tradursi in una crescita insufficiente della produttività o addirittura in un calo di produttività, come avvenuto per l’Italia per molti anni, costretta a politiche di riequilibrio dei conti pubblici che ne hanno compromesso la capacità di crescita.

In altre parole, chi punta a un aumento della produttività per far crescere l’economia finisce per scambiare le cause con gli effetti e a non conseguire affatto l’obiettivo. Se si vuole che l’Italia recuperi una maggiore produttività bisogna puntare sulla crescita della domanda finale per far crescere il PIL e, con esso, anche la produttività.

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