Il triangolo Renzi-Zingaretti-Conte è tutt’altro che amoroso. Volano i piatti, e gli insulti. Quando si rompe una intesa, difficile che i torti stiano tutti da una parte sola. In questo caso, però, la pistola fumante, o l’ultima tazzina, è rimasta nelle mani di Matteo Renzi.

Il leader di Italia Viva ha coperto il presidente del consiglio di ogni tipo di contumelia politica, debordando persino nel personale. Che si arrivi ad una ricomposizione dopo tanto astio è improbabile. Certo, Renzi, da vero politico, degno delle sue ascendenze cittadine, potrebbe anche fare una giravolta di 180 gradi se gli convenisse; ma Conte non sembra disponibile a tanto, forse per carattere, forse per scarsa dimestichezza con la politique politicienne.

Il capo del governo è comunque giunto ad uno snodo decisivo della sua traiettoria politica. Nei prossimi giorni si gioca la prosecuzione della sua premiership.

La strada scelta è quella giusta, l’unica che può ridare smalto alla sua guida: affrontare a viso aperto il voto del parlamento. Chiedere un voto di fiducia all’organo costituzionalmente investito di questo compito non solo legittima formalmente la nascita o la prosecuzione di un governo ma dimostra che non si ha paura di un giudizio.

 E se il verdetto sarà negativo, pazienza. Almeno sarà salvo l’onore. Proprio come è successo a Romano Prodi che, falcidiato due volte da un voto avverso delle camere, ha mantenuto intatta la sua dignità politica.

I caduti, anche in politica, non sono tutti uguali: dipende dal modo con cui vengono abbattuti.

Se invece Conte si fosse adeguato alla solita prassi della crisi extra-parlamentare e avesse rassegnato le dismissioni in attesa di un possibile reincarico non avrebbe poi potuto godere di quella forza politica che l’anno scorso gli è venuta dallo scontro parlamentare con Matteo Salvini.

In questi giorni non mancavano le pressioni di coloro che aborrono le scelte nette e chiare e volevano evitare una rottura palese e drammatica con i gli ex alleati di Italia Viva nella speranza di ricondurli all’ovile. Ma anche ii prudentissimo Zingaretti ha perso la pazienza e, forse rammaricandosi in cuor suo di aver lasciato troppo spazio a Renzi, per una volta ha fatto calare cadere la saracinesca verso i “distruttori”.

Poi, se i parlamentari del gruppo misto, raggruppamento che per dimensione non ha eguali nelle altre democrazie, non transumeranno a favore di Conte, allora non rimane che la via delle elezioni.

Non si venga a dire che non si può votare perché c’è la pandemia. Intanto perché si è appena votato in America per le presidenziali, si voterà in Olanda a marzo, e si deve votare da noi per le grandi città. E poi basta che il presidente affidi ad un tecnico super partes un governo per portare il paese alle elezioni in tarda primavera, e tutti i partiti aderiranno.

Quando una crisi politica viene portata alla luce del sole parlamentare l’opinione pubblica ne è investita direttamente, e può farsi una opinione molto più precisa: tanto più quanto più il confronto tra le parti è senza sconti.

La democrazia vive di conflitti regolati mentre annega nella palude degli accordi e degli scambi occulti.

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