Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha una ricetta semplice per migliorare la sicurezza dei cittadini: eliminare i reati. Se non li puoi perseguire, se non puoi garantire un tempo giusto per celebrare il processo, se non puoi trasformare il funzionamento della macchina giudiziaria in quella di un paese civile, allora azzera direttamente il reato garantendo piena impunità a chi delinque. Un’idea geniale che ha una sola platea di beneficiari: i colletti bianchi. Per i poveri Cristi, invece, le galere devono aumentare e anche i reati, per loro solo carcere buttando la chiave.

Nordio è partito con l’eliminazione dell’abuso d’ufficio, con buona pace di chi subisce le angherie dei potenti, e ora vuole tentare il colpo grosso: abbattere il concorso esterno in associazione mafiosa. Per essere precisi, vuole completamente rimodularlo perché «evanescente».  

Per concorso esterno sono stati condannati politici che hanno contribuito agli scopi delle organizzazioni criminali, quelle che in questo paese hanno ammazzato i servitori dello stato a colpi di pistola o con cariche di tritolo. Un annuncio che arriva a pochi giorni dal trentunesimo anniversario dalla strage di via D’Amelio quando mafia e non solo uccisero il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta a distanza di neanche due mesi dalla strage di Capaci che uccise Giovanni Falcone e i suoi agenti. 

Proprio Borsellino e Falcone hanno posto le basi del concorso esterno nell’ordinanza dello storico maxiprocesso, da lì l’incrocio di due articoli del codice penale, il 110 che prevede il concorso di un soggetto nel reato, e il 416 bis, l’associazione mafiosa. L’idea era semplice, c’è chi non fa parte direttamente dell’organizzazione criminale, ma fornisce ad essa un contributo esterno.

Le sezioni unite della corte di Cassazione, a partire dal 1994, hanno stabilito l’esistenza e l’applicabilità di questa fattispecie così come contenuto in numerosi pronunciamenti successivi. Se si fa parte dell’organizzazione mafiosa si applica il 416 bis, se non si fa parte, ma si fornisce un contributo non occasionale alla realizzazione degli scopi delle mafie allora si sostanzia il concorso nel reato, norma generale che non può essere esclusa per l’associazione mafiosa.   

Ma per il ministro il reato è evanescente, in realtà sul contrasto alle mafie Nordio non ne ha azzeccata una. A partire dalla frase «i mafiosi non parlano al telefono», pronunciata pochi giorni prima dell’arresto di Matteo Messina Denaro che utilizzava due telefonini fino alla frase pronunciata davanti alla camera dei Deputati: «L’Italia non è fatta solo di pubblici ministeri antimafia. Il Parlamento non può essere supino o acquiescente alle affermazioni dei pm».

Ora tocca rivedere l’odioso concorso esterno in associazione mafiosa, un reato che ha portato alla condanna dell’ex sottosegretario al ministero dell’Interno, il forzista Antonio D’Alì, attualmente in carcere perché si è messo a disposizione della famiglia Messina Denaro; un altro ex sottosegretario azzurro, Nicola Cosentino, condannato perché referente nazionale del clan dei Casalesi, Marcello Dell’Utri, l’ex senatore che aveva garantito il patto tra mafia e Berlusconi, protezione in cambio di soldi e finanziamenti a Cosa nostra. Rimodulazione o revisione del reato che potrebbe portare alla cancellazione di queste condanne, un sogno che si realizza per i politici camerieri delle mafie.

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