Prima che le nostre vite fossero scandite da Amazon e dalle sue strategie di marketing, l’espressione “black Friday” evocava disastrosi crolli di borsa, non ghiotte opportunità per acquisti online appena prima della stagione natalizia. La giornata di oggi ha costruito una sintesi tra queste due accezioni: mentre milioni di consumatori compravano cuffie bluetooth e asciugatrici, i mercati mondiali precipitavano come non si vedeva da tempo: il grilletto del crollo è stata la notizia della nuova variante di Covid partita dal Sud Africa, che pare molto contagiosa e forse (forse) più resistente ai vaccini.

La Borsa di Milano crolla del 4,6 per cento, a Wall Street l’indice Dow Jones segna -2,26, gli altri indici europei segnano ribassi tra il 3 e il 4 per cento. Ma non sono soltanto le azioni a scendere, precipita il prezzo del petrolio del 10 per cento e sprofonda perfino quello delle criptovalute, che molti sostenevano avere funzione di bene rifugio per i tempi di incertezza.

Scendono i rendimenti dei bond a 10 anni, in particolare dei Treasuries americani, un segnale di aspettative riviste al ribasso sulla crescita dell’economia, e  scendono anche i contratti futures sui Fed Funds, perché gli investitori pensano che le probabilità di politiche monetarie restrittive da parte delle banche centrali siano ora inferiori.

Ci sono molti commenti rassicuranti che cercano di ridimensionare quello che è successo oggi, non una catastrofe ma un sobbalzo emotivo sulla via della grande ripresa post-pandemia. Oppure una “presa di beneficio”, come si dice in gergo per spiegare quando gli investitori vendono perché pensano che certi titoli più di tanto non possano salire.

Il Wall Street Journal suggerisce addirittura che si tratti di un po’ di pulizia di fine anno anticipata: i grossi fondi vendono i titoli che li stanno deludendo per liberarsi delle zavorre e cominciare il nuovo anno più liberi. Ma perché a fine novembre? Non si capisce.

Certo, i listini di Borsa sono vicini ai massimi di sempre: la politica monetaria espansiva che ha reso economico il debito pubblico necessario ai governi per gestire la pandemia ha depresso i tassi di interesse e i rendimenti delle obbligazioni e così ha spinto il risparmio globale verso le azioni.

Di fronte a tanta domanda, i prezzi hanno iniziato a salire, le aspettative di inflazione hanno fatto il resto. Una correzione, cioè un ritorno dei prezzi a valori più coerenti con le reali prospettive di molte aziende, è inevitabile.

L’indice Shiller PE Ratio  misura il rapporto tra prezzi e ricavi corretto per gli effetti del ciclo economico, è vicino ai livelli della bolla di Internet di fine anni Novanta, segno che gli investitori forse stanno valutando troppo le aziende rispetto a quanti utili faranno e dunque a quanti dividendi pagheranno ai soci.

Ritorno al 2020

AP Photo/Koji Sasahara

Tutte spiegazioni rassicuranti, anche se pure le “correzioni” inevitabili dei valori di Borsa lasciano morti e feriti. Ma questo tentativo di ridimensionare la volatilità di oggi non sembra coerente con quello che si è visto sui mercati.

Perché non si è trattato di una revisione al ribasso generalizzata, ma di un ritorno dell’effetto Covid: crollano le società che vengono più colpite dalla diffusione del virus, schizza in alto il valore di quelle che beneficiano dalla lotta al Covid. Per intenderci: il prezzo della United Airlines, una grande compagnia aerea americana, è sprofondato del 9.6 per cento, mentre quello del principale produttore di vaccini, Pfizer, saliva del 6,1 per cento.

Capiremo presto la reale pericolosità della nuova variante di virus  B.1.1.529. Di sicuro i mercati hanno dimostrato di essere aperti a prendere molto sul serio l’eventualità di un ritorno al 2020, cioè agli stili di vita da pandemia che in tanti cominciavano a sperare di essersi lasciati alle spalle. Niente viaggi in aereo, molto e-commerce, televisori più grandi per guardare Netflix, e impastatrici per fare il pane in casa.

Nella sua ultima lettera agli investitori del fondo OakTree, Howard Marks osservava che «la ripresa economica iniziata nel terzo trimestre del 2020 – con i maggiori aumenti trimestrali di Pil nella storia degli Stati Uniti – sta continuando».

Ma non è una ripresa come le altre: in ogni fase di ripartenza dopo una recessione ci sono alcune imprese che tornano al livello precedente, altre che scompaiono e nuovi campioni che si affacciano. Ma questa volta è tutto all’estremo, «le scelte di investimento fatte sulla base che domani assomigli a ieri devono essere sottoposte a una revisione molto attenta».

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Più dura la pandemia e più frequenti sono le ricadute, maggiore è la probabilità che il domani sia assai diverso da ieri: se torna il virus, chi era incerto se comprare una casa più grande in periferia con una stanza per lavorare, si affretterà per non trovarsi confinato in un bilocale senza balcone in centro, chi doveva organizzare una convention in presenza sceglierà definitivamente Zoom per tutto il 2022, le aziende incerte se formalizzare l’organizzazione pandemica, tra smart-working e lavoro per obiettivi, non avranno scelta.

Il problema è che più drastica è la transizione, maggiori saranno i costi di aggiustamento: come osserva sempre Howard Marks, negli Stati Uniti oggi ci sono 7,4 milioni di americani disoccupati e 11,2 milioni di posti di lavoro disponibili.

In parte l’incastro non avviene per colpa di salari troppo bassi, forse, ma soprattutto perché molti dei disoccupati non hanno le qualifiche per il nuovo mondo pandemico dove tutto avviene da dietro uno schermo, mentre altri non sono più disposti ad accettare un lavoro da ufficio con orari rigidi e cartellini da timbrare.

Il terremoto di Borsa di oggi indica che certi cambiamenti forse saranno davvero strutturali, anche perché dopo quasi due anni tutto ciò che abbiamo considerato provvisorio inizia a sembrare assai permanente. Se così sarà, i prezzi oscilleranno ancora molto. E con essi la politica e le nostre vite.

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