Una delle critiche rivolte al green pass è che si tratterebbe di un obbligo vaccinale mascherato, a fronte del quale tanto varrebbe prevedere direttamente l’obbligo, estendendo a tutta la popolazione la normativa già prevista per gli esercenti le professioni sanitarie e il personale delle Rsa.

Sarebbe compatibile con la Costituzione una decisione di questo genere?

Per rispondere, occorre considerare che, secondo la giurisprudenza costituzionale, i vaccini sono considerabili alla stregua di un trattamento sanitario, sicché l’obbligo vaccinale si configura come un trattamento sanitario obbligatorio cui applicare l’articolo 32, comma 2, della Costituzione: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».

Forma e sostanza

Dal punto di vista formale, è indifferente che si utilizzi, quale fonte che introduce l’obbligo, la legge o un atto avente forza di legge come il decreto legge: quando la Costituzione vuole riservare il potere normativo alle camere (la cosiddetta “riserva di legge formale”), lo dice infatti espressamente, cosa che l’articolo 32 non fa. Diverso è, ovviamente, il discorso sul piano politico, dal momento che la legge presuppone una centralità del parlamento – l’organo in cui tutto il popolo è rappresentato – che il decreto legge esclude.

Dal punto di vista sostanziale, posto che le modalità attraverso cui viene oggi somministrato il vaccino non possono seriamente essere considerate lesive dei «limiti imposti dal rispetto della persona umana» (un’ipotesi formulata pensando alle sterilizzazioni forzate), emerge la delicata questione inerente al rapporto tra diritto individuale alla salute e interesse della collettività alla salute.

Secondo quanto disposto dall’articolo 32, comma 1, della Costituzione, «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti». Il nodo – così ha sancito la Corte costituzionale – sta tutto in quella «e» che ricorre nella prima frase: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività». I due aspetti – diritto individuale e interesse della collettività – devono stare assieme. Sarebbe, infatti, incostituzionale l’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio rivolto alla tutela solo dell’interesse della collettività e non anche al diritto individuale: in un’ipotesi del genere, l’essere umano risulterebbe infatti utilizzato come uno strumento attraverso cui raggiungere un obiettivo a lui precluso, anziché considerato come meritevole di tutela in sé. Sarebbe, in altre parole, violato il principio kantiano che impone di considerare gli esseri umani sempre come fini e mai come mezzi.

L’obbligo vaccinale

Si può, allora, ragionare così. Le autorità scientifiche a ciò preposte dall’ordinamento giuridico (Ema e Aifa), attestano l’utilità del vaccino a tutela della salute individuale e, di conseguenza (trattandosi di raggiungere la cosiddetta “immunità di gregge”), collettiva. Nessuno studio scientificamente certificato al momento contesta tali attestazioni (è vero che la sperimentazione è stata rapida, ma è altresì vero che: sono state impiegate risorse in quantità che non hanno precedenti; sono stati raccolti dati in quantità che non hanno precedenti; in ogni caso, occorre bilanciare le esigenze di sperimentazione con il fatto che la pandemia è in atto e con i rischi sociali, economici, politici e così via che ne derivano). Gli individui vaccinati ricevono un beneficio dal vaccino perché corrono minore rischio di ammalarsi e, se si ammalano, di patire gravi conseguenze dalla malattia.

Anche la collettività riceve un beneficio dalla vaccinazione dei singoli individui, perché, in caso di malattia, gli individui vaccinati sono meno contagiosi e perché, comunque, impegnano in misura minore le risorse sanitarie, lasciando il Ssn libero di destinarle agli altri ammalati (di Covid-19 o altre malattie). Producendo un beneficio sia per l’individuo, sia per la collettività, l’eventuale previsione dell’obbligo vaccinale sarebbe, in conclusione, compatibile con il dettato dell’articolo 32.

E in caso di danni derivanti dal vaccino? Varrebbe quel che vale già oggi. Non è vero infatti – contrariamente a quanto denunciato il 7 ottobre scorso da Giorgio Agamben nel corso di un’audizione parlamentare – che lo “scudo penale” introdotto a protezione di chi somministra le vaccinazioni vale a esentare lo stato da ogni responsabilità per i danni prodotti dal vaccino. Già oggi non è così, attesa la solidissima giurisprudenza della Corte costituzionale che riconosce la piena indennizzabilità dei danni patiti da chi si è sottoposto non solo alle vaccinazioni obbligatorie, ma anche a quelle facoltative raccomandate dallo stato (per esempio, i vaccini anti influenzali). Fa specie che un filosofo della finezza di Agamben confonda la responsabilità penale dei singoli operatori sanitari con la responsabilità dello stato a indennizzare (attenzione: indennizzare, non risarcire, perché l’eventuale danno deriverebbe dal compimento di un’attività lecita, non illecita) coloro che dovessero patire le conseguenze negative della vaccinazione.

Infine, va considerata la particolare delicatezza della fase attuale. Se è vero che si inizia a intravedere l’obiettivo di una copertura vaccinale realmente capace di arginare il virus, è altresì vero che il conseguimento di questo obiettivo è impedito da incognite solo in parte fuori dal nostro controllo: in particolare, la non vaccinabilità dei minori di dodici anni e il mancato sviluppo di un’adeguata quantità di anticorpi in alcuni vaccinati. Diverso è il caso di coloro che, nonostante le centotrentamila persone già uccise dal Covid, continuano a rifiutare il vaccino per timore, opportunismo, credulità. Su di loro è possibile agire per provare a ulteriormente migliorare la situazione, ed è difficile immaginare che misure meramente persuasive possano, a questo punto, indurli a ricredersi. Ecco perché, nella fase attuale, l’adozione di misure maggiormente incisive potrebbe essere ragionevole anche dal punto di vista dei principi costituzionali di adeguatezza e proporzionalità.

Francesco Pallante è professore associato di Diritto costituzionale nell’Università di Torino. Interverrà a Parole di Giustizia, un festival organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Urbino Carlo Bo, dall’associazione di studi giuridici Giuseppe Borrè e da Magistratura democratica. Si terrà a Urbino e a Pesaro dal 22 al 24 ottobre

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