Inizia a Rabat, in Marocco, la diciassettesima sessione del Comitato del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco con delegati provenienti da 180 stati che dovranno discutere di cultura, identità, ambiente e decidere quali nuove tradizioni proclamare patrimonio dell’umanità.

Dopo un lungo lavoro negoziale, a partire dal 2003, quando la Convenzione Unesco è stata adottata, la comunità internazionale ha riconosciuto degne di tutela a livello mondiale le pratiche, i rituali, le tradizioni orali, i saper fare, che, tramandandosi di generazione in generazione, identificano il bagaglio identitario di una specifica comunità. Si tratta, semplificando, di quelle espressioni culturali che ci legano al nostro passato e che ci consentono di vivere il futuro senza farci perdere lungo la strada.

Nella crisi globale

Nel tempo presente, l’incessante cavalcata della globalizzazione – che pure ha prodotto esiti positivi in alcuni contesti – ha teso ad annullare le diversità, rendendo tutti e tutto omogenei: in un’epoca caratterizzata dalla frenetica ricerca della somiglianza, dell’apparire simile agli altri per non essere emarginato o escluso dalla maggioranza, siamo naturalmente portati ad abbandonare il nostro bagaglio culturale, appiattendo la nostra cultura su quella dei gruppi dominanti a livello globale.

Tali fenomeni, uniti alla drammatica perdita di biodiversità, hanno prodotto profonde alterazioni nel patrimonio culturale dei popoli, mettendo a rischio proprio quella tipologia di patrimonio che – non essendo connessa ad alcuna manifestazione tangibile – è apparsa essere di minore rilevanza quale testimonianza di civiltà.

È per questo che occorre porsi una questione di fondo: come si tutela il patrimonio culturale immateriale in tempo di crisi globale?

Senza tutela

L’analisi comparata evidenzia una pluralità di approcci e mette in luce il ritardo del nostro paese. L’Italia, infatti, pur avendo ratificato la Convenzione Unesco nel 2007, è uno dei pochi paesi al mondo a non prevedere alcuna forma di tutela giuridica per i patrimoni culturali immateriali.

Anzi, l’opposto: il Codice dei beni culturali espressamente esclude ogni tutela per i patrimoni intangibili, disponendo che questi siano preservati solo nella loro dimensione materiale. Così, per dire, con riferimento al teatro dei pupi siciliani, si tutela la marionetta ma non la tradizione orale che rende viva e che dà senso a quel “pupo”.

Dinanzi a tale contraddizione, molte Regioni sono intervenute per salvaguardare le tradizioni immateriali: dalla Lombardia alla Sicilia, dalla Campania al Veneto. La provvidenziale azione regionale ha, così, creato un sistema a macchia di leopardo, dove ciò che è cultura in un territorio non lo è in un altro, alimentando, senza colpa, un meccanismo schizofrenico.

Tale situazione è stata oggetto di un affare specifico discusso nella scorsa legislatura dinanzi alla commissione Cultura del Senato, chiamata, per la prima volta, ad affrontare il tema; lo scioglimento anticipato del èarlamento non ha, però, consentito di giungere a nessuna conclusione.

Il piano che manca

Nei giorni scorsi, presentando alle Nazioni unite un rapporto su cibo e cultura, è stato evidenziato come l’Italia abbia il primato dei riconoscimento Unesco in tale ambito. Ogni giorno nuove comunità richiedono di poter candidare una loro tradizione e, stando alla stampa, è un fiorire di idee (dalla festa di San Gennaro alle leggende ladine dell’Alto Adige). Tutto ciò denota una evidente attenzione da parte dei territori che, però, non ha trovato, fino ad ora, attenzione a livello nazionale.

In Italia manca, infatti, un piano nazionale per la salvaguardia del patrimonio immateriale, mentre vi sono una ventina di inventari e diversi centri di documentazione che non si parlano tra di loro. In questo contesto disarticolato, sono ammirevoli gli sforzi posti in essere dall’Istituto centrale per il patrimonio culturale immateriale del ministero della Cultura ma, senza un quadro normativo omogeneo, ogni sforza rischia di essere vano.

Una delle sfide che ha dinanzi il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, sarà ripartire da qui: dare al paese una legge che tuteli le proprie identità, come avviene in Spagna, Francia, Giappone, Corea per citare solo i casi più emblematici. Salvaguardare il patrimonio culturale immateriale di una comunità significa, in ultima istanza, proteggere i diritti culturali dei popoli e, con essi, il diritto stesso alla sopravvivenza. Sangiuliano queste cose le sa bene e si spera che questa sia la legislatura che porrà fine a tale contraddizione.

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