Ancora una volta si danza sul cadavere della scuola. Non importa un bel nulla dell’istruzione: viene tutto prima, a cominciare dalla ritrosia (per usare un eufemismo) del corpo insegnante che per il 70 per cento vorrebbe riaprire non prima che il virus sia debellato, cioè, in sostanza, tra un anno. Forse.

Anche l’anno scolastico 2000/21 sta andando in malora senza che nessuno ne sia turbato più di tanto: molto più importante sapere cosa dice il politico meno apprezzato d’Italia (Matteo Renzi, per la cronaca) piuttosto che risolvere il problema dell’educazione superiore.

L’ultimo rinvio ha visto soccombere chi ha a cuore l’istruzione (la tanto vituperata ministra Azzolina e il premier Conte) a fronte di chi vi antepone altre priorità. Va ribaltata la prospettiva.

Deve essere rimessa in carreggiata la scuola perché il danno che si sta creando in questi mesi è incalcolabile, nel senso letterale del termine: è certo, ma non calcolabile, oggi. Mentre i morti si possono contare, e ahinoi non accennano a diminuire, la perdite di conoscenze, di competenze e di esperienze, no. Eppure la voragine educativa che si sta aprendo rimarrà nel tempo.

Ne vedremo tra qualche anno gli effetti sia sul piano civico-culturale che su quello sociale.

I figli della classe agiata e dintorni, avendo a disposizione computer, connessioni veloci e stanzetta, e magari qualcuno in famiglia che controlla, oltre, sperabilmente, a un buona biblioteca, non avranno problemi a reggere lo sfregio della didattica a distanza. Rimarranno nella corsia di sorpasso della vita. Così la diseguaglianza continuerà a crescere. Altro che condizioni di partenza uguali.

Tanti ragazzi partono invece con un braccio dietro la schiena e su una gamba sola, perché non godono delle stesse opportunità di altri. In un paese con un abbandono scolastico record, con criminalità giovanile drammatica – sembrava forzata la paranza dei bambini di Roberto Saviano, ma se ne è avuta conferma l’altro giorno, con l’aggressione al povero raider di Napoli – lasciare abbandonati a loro stessi i meno favoriti è un delitto. Altro che Next Generation Eu.

Ogni giorno di scuola vera perso è un passo indietro del nostro paese, un regresso che accentua una situazione già umiliante. L’Italia è al penultimo posto tra i paesi Ocse per numero di laureati nella fascia di età 25-34, 28 per cento contro una media del 45; e la spesa per l’istruzione è dello 0.9 per cento del Pil, rispetto a una media dell’1.4.

Questo divario si può colmare solo investendo risorse finanziarie e umane gigantesche sulla scuola. E sostenendo che questo obiettivo è prioritario, costi quel che costi.

Solo con una diversa visione può essere arrestato il declino. Non certo se si lasciano i ragazzi a casa, e per di più in balia delle decisioni dei tanti capetti regionali, ormai fuori controllo, liberi di decidere cosa fare dell’ educazione nazionale (se questo aggettivo ha ancora un senso).

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