Anche se non giungo a sostenere, come comprensibilmente ha fatto Enrico Letta, che le elezioni amministrative sono state un “trionfo” per il Pd, il successo del Partito democratico e del suo segretario  è stato limpido, consistente, significativo.

Buoni candidati, competenti e dotati di previa esperienza politica, selezionati(si) con poche tensioni senza strascichi in aggiunta a quello che rimane del radicamento territoriale del partito, hanno prodotto un esito significativo, al di sopra delle aspettative.

Per i prossimi cinque anni molte città importanti saranno governate da sindaci democratici. La situazione sembra, almeno in parte, quella del 1975 quando la vittoria di molti sindaci di sinistra preannunciò il grande successo elettorale del PCI nel 1976.

Rallegrarsi, quindi, è giusto tanto quanto ricordare che queste vittorie sono anche il frutto dell’atteggiamento responsabile, serio e sobrio dei ministri del  Pd a sostegno del governo Draghi. Pertanto, mi pare di potere suggerire che Letta e il suo partito si sono conquistati il diritto di chiedere a Draghi qualcosa di più e qualcosa di diverso nell’opera del governo al cui interno la Lega deve di conseguenza contare meno .

Fermo restando l’impegno all’attuazione nel migliore dei modi possibile del Piano nazionale di ripresa e resilienza, è giusto e opportuno che il Pd ricordi a Draghi che le riforme di adesso debbono preannunciare un percorso riformista che intenda ridurre le disuguaglianze cattive.

Tali sono le disuguaglianze che configurano privilegi invece di offrire opportunità di sviluppo, non solo economico, ma sociale e culturale, ai settori svantaggiati della società italiana. Non importa quanto i ricchi diventino più ricchi, ma che lo facciano non a spese della società e dei settori già svantaggiati.

Ho in mente, naturalmente, sia una eventuale tassa sui patrimoni sia una rimodulazione della tassa sulle successioni.

Questo non sarebbe un esempio del “togliere” (denaro) agli italiani quanto, piuttosto, della volontà di procedere verso maggiore equità sociale non a scapito dello sviluppo. Appare anche opportuno, sempre in chiave di equità e sviluppo, che il Pd chieda interventi incisivi per l’integrazione dei figli dei migranti (e dei loro genitori ).

Nella misura in cui alcune riforme riescano a cambiare la percezione che una parte nient’affatto trascurabile dell’elettorato italiano ha della politica attuale, allora, forse, potrà anche tornare a votare. Non è possibile stabilire quanto gli astensionisti abbiano deciso di lasciare le urne semivuote perché scoraggiati dalla distanza e dall’indifferenza del governo alle loro sorti.

Probabile è che alcune misure, alcuni provvedimenti ben congegnati e ampiamente discussi farebbero (ri)emergere nell’elettorato la percezione che il loro voto conta. Il Partito democratico e il suo segretario sanno che le vittorie elettorali vanno governate e che un governo più politico può condurre a una pluralità di vittorie (buone).

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