I social-democratici, alleati con i verdi e i liberali, sono tornati a guidare la Germania, il principale paese d’Europa. Dopo 16 anni. Si affianca la loro vittoria a quella di Joe Biden un anno fa, negli Stati Uniti. Al governo delle due principali economie del campo occidentale vi sono oggi le forze della sinistra democratica.

Non accadeva da un po’, ma non è la prima volta che succede. Alla fine degli anni Novanta, la sinistra democratica guidava gli Stati Uniti (Clinton) e la Germania (Schröder), ma anche il Regno Unito (Blair), la Francia (Jospin) e pure l’Italia.

Allora, però, quelle forze e quei leader, con la parziale eccezione di Jospin, avevano aderito ai presupposti dell’ideologia neoliberale e le loro riforme si limitarono ad adeguare le loro economie a questa impostazione (al limite, ma nemmeno sempre, puntando ad attutirne i contraccolpi negativi).

Così è stato, per restare alla Germania, con le riforme del lavoro promosse da Schröder a inizio anni Duemila (il «Piano Hartz»), che hanno forse favorito la crescita ma al costo di precarizzare il lavoro e la vita di milioni di persone. 

La «Agenda 2010» di Schröder oltre al lavoro ha ridotto le imposte ma tagliato sanità pubblica, welfare, sussidi di disoccupazione, pensioni e investimenti.

Anche in quanto ai fondamentali macroeconomici (pareggio di bilancio e contenimento dei prezzi) e politiche europee (idem) il governo Schröder (1998-2005) è stato in piena continuità con la visione neoliberale (e ordoliberale nel caso tedesco).

Nel 1998, Schröder si era presentato con lo slogan «il nuovo centro»: fece, da cancelliere, quello che aveva promesso. Segno dei tempi, e in sintonia con Biden negli Stati Uniti, il programma con cui l’Spd ha vinto le elezioni, è invece molto diverso: è un programma keynesiano, di forti investimenti soprattutto in direzione ambientale, di diritti sociali a cominciare proprio dal lavoro.

Tuttavia, nell’accordo del governo Scholz questi propositi sono stati inseriti in un quadro contraddittorio. Si assicura ad esempio che verrà mantenuto il pareggio di bilancio, a livello federale e regionale, come previsto dalla riforma costituzionale del 2009 (simile al pareggio di bilancio introdotto in Italia nel 2012): a questo punto, in teoria non resta che aumentare le tasse.

È evidente che le resistenze a un programma keynesiano di investimenti e welfare, sia nel governo (i liberali) sia nella società e nelle istituzioni (la Bundesbank), sono molto forti.

La riforma della Germania e quella dell’Europa sono strettamente legate. L’una aiuta l’altra, e viceversa.

In Italia la partita è aperta. Se noi, la Francia e altri paesi riusciamo a dare un contributo per cambiare il patto di stabilità in Europa, aiutiamo anche le forze progressiste in Germania. Aiutiamo l’evoluzione di tutto il continente in senso sociale e ambientale.

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