In logica esiste una categoria chiamata “verità gesuitica”, che indica la capacità di “dire la verità mentendo o mentire dicendo la verità”, tipica appunto dei Gesuiti. I quali, proprio per questo, sono stati spesso messi alla berlina: sia da credenti quali Blaise Pascal, nelle Lettere a un provinciale (1657), sia da miscredenti quali Voltaire, nel Dizionario filosofico (1774).

Il primo criticava il loro lassismo morale, che a forza di fare distinzioni sofistiche finiva col giustificare qualunque comportamento dei credenti. Il secondo li disprezzava per il loro ateismo di fatto, facendo dire a uno di loro: «Non avete idea del piacere che si prova a farsi ascoltare dagli uomini e convincerli di ciò in cui personalmente non si crede».

La confusione provocata nella Chiesa dal papa gesuita, alimentata fin dagli inizi dal nome francescano che si è scelto, è ormai nota ed evidente, anche se molti credenti irriducibili continuano tuttora ad arrampicarsi sugli specchi per presentare Jorge Mario Bergoglio come un rivoluzionario innovatore, quando nel suo paese era ben noto come un reazionario conservatore, nonostante i suoi modi garbate e i suoi atteggiamenti populisti.

Un esempio furono le sue prese di posizione contrarie al progetto di legge argentino sui matrimoni omosessuali, presentato dal governo di Cristina Kirchner  nel 2010. Il cardinale convocò i cattolici sulla piazza del Congresso per una manifestazione analoga ai nostri Family Day, all’insegna del motto: «I bambini hanno bisogno di un papà e di una mamma».

La presidentessa dichiarò apertamente: «Siamo tornati all’epoca delle Crociate e dell’Inquisizione», e il medievalismo del cardinale finì per convincere anche gli indecisi del senato a votare a favore della legge, che passò il 15 luglio 2010 con 27 voti contrari e 33 a favore: compreso quello della Kirchner stessa, che per prassi non votava, ma si sentì impegnata moralmente a farlo in quell’occasione.

Fu così che, nonostante e contro Bergoglio,  l’Argentina ebbe una legge  più avanzata di quella che  abbiamo in Italia. Tre anni dopo il cardinale fu eletto papa, e gli ingenui che non avevano seguìto le allora recenti vicende argentine si lasciarono irretire dal «Buonasera» con cui salutò i fedeli in Piazza San Pietro, dagli atteggiamenti populisti volti a mostrare un pauperismo di facciata (la croce di metallo, l’auto non di rappresentanza, il domicilio a Santa Marta) e dalle sue enunciazioni di “verità gesuitiche”, proclamandolo nei loro cuori e sui media “santo subito”.

Una delle più note tra le sue frasi iniziali fu «San Pietro non aveva una banca», anche se l’affermazione era fattualmente scorretta. Già Gesù aveva una banca, il cui banchiere si chiamava Giuda, tanto per lasciar intendere fin dagli inizi come sarebbe continuata la storia. E gli Atti degli Apostoli raccontano che i due anziani coniugi Anania e Saffira morirono misteriosamente di fronte a San Pietro, puniti per aver versato alla nascente Chiesa soltanto una parte del ricavato della vendita di un loro podere, e non l’intera somma, come si pretendeva dai neoconvertiti.

Ma il punto è un altro. Cioè, dicendo che San Pietro non aveva una banca, Bergoglio voleva lasciar credere che anche il papa avrebbe potuto farne a meno, e fu osannato per questo. Non staremo a rivangare le vicende dello Ior durante il suo papato, per “carità cristiana”, se non per ricordare che il papa invece una banca ce l’ha tuttora, nonostante non abbia idea di come gestirla, e continua a tenersela stretta, guardandosi bene dall’imitare San Pietro. 

Un’altra delle famose frasi iniziali di Bergoglio fu «Chi sono io per giudicare un gay?». Di nuovo la cosa fu, consciamente o inconsciamente, fraintesa dai media e dai credenti come un’apertura di credito nei confronti degli omosessuali. In realtà era l’imbarazzata risposta a una domanda di un giornalista, che gli chiedeva conto dell’avventata nomina a suo rappresentante personale al solito Ior di monsignor Battista Ricca, coinvolto in Uruguay in uno scandalo omosessuale, e degradato da Giovanni Paolo II da diplomatico vaticano a economo di Santa Marta.

Monsignor Ricca è rimasto finora al suo posto allo Ior, nonostante lo scandalo, a conferma dell’attenzione del papa per i gay. Un’attenzione che egli confina però agli incarichi vaticani e alle unioni civili, ben guardandosi dal permettere loro di sposarsi in Chiesa, o di accettare che lo permetta lo stato, e soprattutto limitandosi a dire che è loro diritto «essere inseriti in una famiglia», senza peraltro averne una loro, perché «i bambini hanno bisogno di un papà e una mamma».

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