I papi non si schierano né chiamano alla resa di una parte rispetto all’altra: chiedono soltanto la cessazione delle ostilità e che si torni subito a trattare. La chiesa di Roma ha elaborato una teologia della pace che si distacca dai credo nazionalisti e considera le guerre sempre fratricide
Papa Francesco ha parlato spesso di pace. È stato uno dei suoi leitmotiv lungo tutto il pontificato, soprattutto contro la guerra in Ucraina e quella a Gaza. Si è occupato anche delle guerre in Africa, come in Sudan e Sud Sudan, nord Mozambico o Kivu, o in quelle d’Armenia e i tanti altri luoghi.
Le sue parole hanno provocato reazioni a non finire, soprattutto per ciò che riguarda la Russia. Non diversamente andò per Benedetto XV che nel 1917 fece un appello per la cessazione delle ostilità definendo la grande guerra «inutile strage» proprio nel momento del massimo sforzo dei belligeranti.
Anche all’epoca le reazioni furono negative, come quelle degli arcivescovi di Parigi e Vienna su fronti opposti. Il nazionalismo dominante all’epoca coinvolgeva le chiese come in alcuni casi hanno ripreso a fare oggi.
I giornali francesi dell’epoca definirono papa Benedetto «le pape boche» (il «papa crucco») o «Pilato XV». Anche oggi abbiamo letto o ascoltato giudizi simili, ma papa Francesco conosceva bene la storia e non si sorprendeva per tali commenti.
Discorso complesso
Il papato di Roma è consapevole che il suo discorso sulla pace non è compreso nemmeno da tutti i cattolici: avvenne anche a san Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI.
Ciò che non è ancora chiaro a tutti è che i papi non si schierano né chiamano alla resa di una parte rispetto all’altra: chiedono soltanto la cessazione delle ostilità e che si torni subito a trattare. Francesco ha domandato agli ucraini un gesto di coraggio, cioè iniziare a parlare finché si era in tempo, senza porre condizioni previe.
Il papa sapeva bene che ciò aveva un costo, soprattutto per gli ucraini, ma credeva che la pace valesse più di ogni cosa. È rimasto sulla stessa linea di tutti i papi del Novecento: la chiesa di Roma ha elaborato una teologia della pace che si è distaccata dai credo nazionalisti e delegittimato la guerra in ogni sua forma, considerandola sempre fratricida.
Pace non è vittoria
Per papa Francesco pace non poteva mai fare rima con vittoria: la guerra è inutile e la pace non dipende solo dall’avversario, anche quando si tratta dell’aggressore. Allo stesso modo hanno agito tutti i pontefici in un crescendo incredibile.
Lungo il XX° secolo è maturata nel papato di Roma l’avversità teologica e pastorale per la guerra, fino al punto di dichiarare che non esiste “guerra giusta”, superando così definitivamente la dottrina di Sant’Agostino il quale ammetteva le guerre ad alcune condizioni e con alcune limitazioni.
Francesco in questo ha proseguito la visione del papato romano sui conflitti: considerarli sempre guerre civili, guerre tra fratelli, e per ciò stesso una situazione impossibile per la chiesa. Il papa ha chiesto continuamente il coraggio di negoziare anche se ciò suonava scandaloso, controcorrente per la mentalità dominante basata su guerra a oltranza e volta a un’ipotetica vittoria che entrambe le parti rincorrono.
Meglio negoziare
Anche al patriarca russo Kirill aveva detto: «Noi non siamo chierichetti di un potere politico». La visione di Francesco era che, nella corsa feroce che dissangua i popoli e li strema con l’hate speech e il nazionalismo, la differenza tra aggressore e aggredito stinge dietro la cortina di fumo della retorica guerriera e della propaganda.
Questo è risuonato come blasfemo per entrambe le parti, sia nella guerra in Ucraina sia in quella a Gaza. Con il conflitto tutti si fanno attirare nel gorgo infinito del risentimento, dell’odio e della vendetta: ogni guerra infatti prepara quella successiva.
Ma chi parla per i morti, per le vittime civili, per chi morirà domani? Secondo Domenico Quirico: «Era ora che qualcuno prendesse la parola per i morti, quelli già spazzati via e quelli che verranno». Questo è il ruolo che Francesco aveva scelto per sé stesso.
Non si tratta di utopia pacifista: troppi morti ma soprattutto il rischio reale (che c’è ancora oggi) di avvicinare il punto di rottura con il pericolo di decisioni inconsulte, come l’uso dell’arma nucleare o l’entrata nel conflitto direttamente dei paesi Nato. Meglio quindi negoziare finché si è in tempo.
In difesa dei popoli
Lo hanno accusato di volere la resa ma per Francesco era prudenza e lucido calcolo, dopo tanti errori commessi dalle parti. Un’ultima occasione prima di perdere tutto. Il papa sapeva bene che nessun leader (occidentale, russo o del sud globale) ha mai ammesso i propri errori in tema guerra. Si pensi alla bugia sulle armi di distruzione di massa per giustificare la guerra in Iraq o la distruzione “illegale” – perché senza Onu – della Jugoslavia.
Per questo Francesco prendeva le difese dei popoli costretti alla guerra e parlava al loro posto. Allo stesso modo il papa sapeva anche che nessun dirigente riconosce mai di aver fallito, ad esempio quando annuncia una rapida vittoria che poi non viene.
Per questo insisteva per rapide tregue e per la la «pace subito», ben sapendo quante bugie e propaganda coprono ogni ragionamento quando si va in guerra con l’unico obiettivo di eternizzarla.
Era questo il suo più forte timore. Allo stesso tempo non lo hanno mai convinto i discorsi sulla pace giusta o la pace “a condizione che” o “solo dopo che”. Nel messaggio del 1° gennaio aveva parlato di «pace vera».
Francesco ha fortemente desiderato che si uscisse dall’equivoco secondo il quale la vittoria sarebbe l’unica soluzione per ottenere la pace, senza possibilità intermedie. Si è detto che non condannava abbastanza la Russia e non si crucciava a sufficienza degli ucraini, pur se ripeteva ogni giorno la sua preghiera per «la martoriata Ucraina».
La sua volontà di pace era confermata dal fatto che gli ucraini continuavano a morire mentre perdevano terreno: un’intera generazione spazzata via per che cosa? Il papa ha parlato anche per i russi, quella maggioranza senza diritto di parola sottoposta al maglio pesante della retorica patriottarda e dell’autoritarismo. Ha parlato per quelle madri e quelle donne russe coraggiose che vanno a mettere un fiore sulla tomba di Navalny rischiando il carcere, o indossano il fiocchetto verde per chiedere pace.
Scuotere l’Occidente
Papa Francesco si è sgolato contro una guerra assurda e senza prospettive, come constatiamo oggi che russi e americani si riparlano. È stato sempre molto preoccupato per le sorti dell’Ucraina, degli israeliani e dei palestinesi, talora usando parole forti per risvegliare le nostre coscienze.
Qualcuno ha detto che Francesco era anti occidentale o anti americano (come i latinoamericani, si dice). Si tratta di una lettura superficiale e sbagliata anche se c’è un aspetto da tener presente: il papa non si è mai fidato dei potenti di questo mondo, soprattutto coloro che incitano alla guerra e poi abbandonano chi combatte al proprio destino.
È la storia dell’Afghanistan ma anche di tante altre crisi. Davanti alle innumerevoli guerre che insanguinano il pianeta l’unica parola di pace che non dimenticava mai nessuno era quella di Francesco. In molti l’hanno ascoltato e ne sono stati consolati.
Il papa ha visto e ha avuto il coraggio di alzare la voce. Qualcuno si è infastidito: il papa ha scosso la coscienza dell’Occidente numerose volte, mettendoci tutti davanti alle nostre responsabilità Come ha scritto Andrea Riccardi: «Il discorso della bandiera bianca ha rotto il linguaggio stanco e conformista a proposito della guerra russo-ucraina. La triste verità è proprio questa: dopo due anni si è spenta l’immaginazione della pace».
Il papa temeva che gli ucraini fossero prima o poi abbandonati al loro destino, come di fatto sta avvenendo. Con le parole ruvide della profezia, tante volte Francesco ha spezzato il tabù dell’ossequio conformista piegato davanti lo spirito di guerra e alla retorica bellica.
È stato questo il suo modo di resistere al fondo pagano dell’uomo che sorge nuovamente dalle profondità della storia e che spinge a crearsi un nemico da odiare per sentirsi vivi. Come un orrido dio pagano, la guerra pretende sacrifici umani: mangia i figli dei popoli rendendoci tutti più miseri, irresponsabili, sonnambuli, senz’anima, senza pensiero.
Non c’è da stupirsi se Francesco si è opposto come un profeta dell’Antico Testamento che indica il sangue degli innocenti colpevolmente sparso.
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