Parigi si rassegni: solo l’arte della coalizione porterà la Francia fuori dal caos

La Francia nel caos politico? A prima vista sembra così ma dipende da che punto di osservazione la si guarda. È evidente che l’instabilità dei governi e l’eventualità di una seconda dissoluzione (lo scioglimento dell‘assemblea nazionale) offrono all’estero un’immagine di instabilità e fragilità del sistema. Sembra che la Quinta repubblica presidenziale non ce la faccia più a resistere al ritorno della Quarta, quella parlamentare. Lecornu si dimette: «Non c’erano le condizioni». Dopo neppure un giorno, cade il governo in Francia La vendetta era già nell’aria da tempo e le varie coabitazioni tra forze politiche diverse avevano dato cattivi risultati. Si era capito che la Francia non amava – o non ne era più abituata – la condivisione del potere mediante la formazione di coalizioni. In altri paesi europei, non solo in Italia, l’attuale composizione del parlamento francese avrebbe dato facilmente luogo alla nascita di varie maggioranze miste; ma a Parigi no. Dopotutto però anche qui le cose possono aggiustarsi facilmente: basta accettare la necessità di dover fare alleanze tra forze politiche di colori diversi. A dire il vero in Europa ormai quasi ovunque ci sono governi di coalizione. Come spiega Alain Minc, uno dei maggiori conoscitori dell’ambiente politico transalpino nonché consigliere di vari presidenti della Repubblica, la Francia dovrà alla fine piegarsi a comporre coalizioni «all’italiana». Su questo qui da noi non c’è alcuna sorpresa, anzi colpisce che non l’abbiano fatto prima. Le prossime elezioni infatti, malgrado il sistema a due turni che polarizza, quasi certamente non daranno una maggioranza assoluta a nessuno. Con buona probabilità il Rassemblement National lepeniano arriverà in testa ma senza la possibilità di fare un governo da solo. Avrà bisogno quindi dei Repubblicani di Bruno Retailleau (ministro dell’interno) e di una parte dei centristi (Horizons di Édouard Philippe?). Sarà un governo di destra-centro simile a quello che abbiamo in Italia, confermando come la politica di Giorgia Meloni stia diventando un modello per le destre europee. Lecornu si dimette: «Non c’erano le condizioni». Dopo neppure un giorno, cade il governo in Francia Governo di destra-centro A Roma ciò sembra del tutto naturale, come in numerose capitali europee. Ma a Parigi appare ancora un handicap e a tale evenienza molti responsabili politici francesi finora rispondono così: «Siamo gente di convinzioni forti, dobbiamo affermarle e non annacquarle». Avviene a destra come a sinistra. Sembra quindi che la Quinta Repubblica di marca gollista abbia fatto dimenticare ai francesi l’arte del compromesso, del dialogo e del negoziato. Ma, come sempre avviene, la realtà di incaricherà di far arrendere tutti all’evidenza: non si potrà operare altrimenti. E questo cambierà un poco la formula politico-istituzionale francese: resterà il presidenzialismo ma d’ora in poi chi siederà all’Eliseo non avrà più la certezza (salvo eccezioni) di una maggioranza simile e compatibile. È probabile che i francesi daranno il loro voto in maniera disgiunta, come avviene in Italia sin dalla prima repubblica, dove si votava Democrazia cristiana e alleati, per il governo, ma si sceglievano le sinistre nelle regioni e nelle città, almeno dagli anni Settanta del secolo scorso in poi. Anche in Belgio, Paesi Bassi, paesi scandinavi ed altri vi sono da tempo governi di coalizione o, laddove è possibile, di minoranza, cioè che necessitano di negoziare con l’opposizione ogni legge. È il new normal europeo da almeno un decennio e più: anche in Germania le Grosse Koalition sono divenute la norma. E non dipende dal sistema elettorale: gli elettori non si lasciano persuadere ed esprimono volontà variegate e molto più articolate che in passato. Ciò dipende dai cambiamenti antropologici e sociali ma anche dal caos internazionale attorno: guerre e crisi spingono verso una pluralità di reazioni diverse. Ciò non riguarda soltanto le guerre attuali: per esempio sul discorso della pace già con il conflitto in Iraq del 2003 la società europea si divise moltissimo. In Italia numerosi elettori di destra si saldarono agli altri convinti che si trattava di una guerra inutile e nociva, come poi i fatti si incaricarono di dar loro ragione. Anche la fiducia tra cittadini e leader si è ridotta: le molte bugie raccontate pesano ancora (come quella sulle armi di distruzione di massa). I conflitti di Gaza e in Ucraina sono di difficile lettura e non c’è da sorprendersi se da ciò derivi ancor maggior sfiducia in chi prende le decisioni.