La politica è arte del compromesso, ma il metodo dà raramente buoni esiti sui temi fiscali, che mal si prestano ai giudiziosi cedimenti alle ragioni altrui di cui vive il compromesso. Ce lo ricorda un commento di Vincenzo Visco, ministro delle Finanze nel primo governo Prodi (Il Sole 24 Ore, 14 Luglio), sul lavoro delle Commissioni parlamentari per la riforma fiscale.

Le imposte devono formare un sistema coerente ed efficace, non discriminare se non per fini d’interesse generale, dare all’amministrazione i mezzi necessari. Viste le innumerevoli modifiche portate nel tempo alle leggi fiscali (spesso per compiacere anche minime platee) le Commissioni avrebbero dovuto fissare le basi di una coerente riforma. Esse hanno purtroppo trascurato gli obiettivi e cercato comunque l’unanimità, scordando che il fisco serve a finanziare la macchina statale, dati i vincoli di finanza pubblica.

Non a caso, in tema fiscale non è ammesso il referendum. Le Commissioni avevano un compito solenne cui han rinunciato, per contentare tutti chiedendo di ridurre la pressione fiscale nonostante il fardello del debito. Perciò hanno ignorato temi caldi da decenni, come l’indispensabile riforma del Catasto o il trattamento dei proventi immobiliari e finanziari, perciò vorrebbero limitare i poteri dell’amministrazione, perciò anche il Pd si fa venir bene l’abominevole “tassa piatta”, contraria perfino alla Costituzione (art.53).

Fioriscono così le proposte per ridurre aliquote o per abolire imposte, per buttare nel cestino sistemi che stanno intaccando la scandalosa evasione Iva, ma sgraditi perciò ai contribuenti. Come rileva Visco, le Commissioni, forse troppo ignare del dibattito internazionale, nemmeno han capito che “tassare più chi più ha” è finalmente tornato ad essere obiettivo di politica economica ampiamente condiviso.

Perché usare i poteri parlamentari in un modo che li squalifica? È bene che un paese gerontocratico ringiovanisca il parlamento, male farlo perdendo le competenze professionali necessarie a legiferare. Nell’intento di avvicinare il palazzo al popolo, poi, s’è perso un po’ del residuo senso di solennità nel ruolo parlamentare; è più facile ridurre la pressione fiscale, tanto al debito pubblico penseranno i nostri discendenti che ancora non votano.

Il presidente del Consiglio Draghi aveva dato grande rilievo alla necessaria riforma fiscale il 17 Febbraio scorso nelle sue dichiarazioni programmatiche, ma le proposte delle Commissioni, su cui contava, sono sedizione allo stato puro. Bisognerà ora ricorrere alle strutture del governo (dal Dipartimento per la Politica Economica al ministero dell’Economia), ove abbondano le competenze per disegnare una riforma che rispetti gli obiettivi generali sopra detti. Il parlamento ha perso l’occasione per svolgere il ruolo che così vocalmente sempre rivendica. Dovrà allora farsi andar bene il lavoro dei vituperati tecnici, che anche in questo tema faranno, di necessità, i politici. Altrimenti i soldi del Next Generation Eu restano a Bruxelles.

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