Accordarsi sulla riforma del Patto di stabilità e crescita, come si tenterà di fare a Bruxelles, è talmente difficile che si ricadrà nel vecchio Patto? Le difficoltà sono tecniche e politiche. Tecnicamente, il Patto è nato per coordinare le politiche di bilancio europee in situazioni prossime alla normalità, mentre si tratta di aggiustare indebitamenti strutturalmente eccessivi e insostenibili. Inoltre, le differenze nei debiti dei Paesi complicano la ricerca di una formula di armonizzazione comune.

Interessi diversi

Politicamente, si tratta di mediare fra regole flessibili e adattate ai singoli paesi e regole rigide e uguali per tutti. La Commissione guida i sostenitori della flessibilità, la Germania i rigoristi. Il compromesso è difficile anche perché non è solo l’Italia ad avere problemi speciali ma li hanno almeno tutti e tre i “grandi”. L’Italia ha il debito più alto, 2,3 volte il massimo consentito del 60 per cento del Pil; è l’unico Paese dell’eurozona che prima della pandemia aveva già più del 100 per cento e non è scesa; per il ’23-’26 è priva di programmi di vero attacco al debito.

La Francia ha un debito del 110 per cento e deficit eccessivi nei prossimi anni. Anche Belgio, Portogallo e Spagna superano il 100 per cento. La Germania è quasi al 60 per cento ma sta cercando di districarsi da un pasticcio: i suoi giudici costituzionali vogliono che il governo tenga conto di debiti nascosti in enti fuori bilancio. Sono debiti che non hanno una dimensione che stravolge il rigore finanziario ma la questione causa bisticci politici.

Il governo è diviso fra chi vuole mantenere comunque il bilancio in pareggio e chi cerca di attenuare la stretta che ne verrebbe. Nella trattativa sul Patto ciò potrebbe rendere meno leggibile la posizione tedesca, favorendo la flessibilità sostenuta dalla Commissione o il rinvio della decisione.

Il rischio del rinvio

Rinviare significa ripristinare, almeno fino alle elezioni europee, la disciplina del vecchio Patto. Non è infattibile, soprattutto adottando alcune correzioni che non mutano l’impianto delle regole. Ad esempio: ridurre la velocità minima di discesa del debito verso il 60 per cento del Pil. Per la Germania la questione di una sufficiente velocità minima è la principale. Forse accetterebbe di fissarla fra l’1 e il 2 per cento all’anno (con le vecchie regole l’Italia dovrebbe precipitare del 4 per cento,) magari crescente col livello del debito attuale.

Aiuterebbe il compromesso anche l’esclusione di parte di spese molto come difesa ed ecologia dal calcolo del deficit che i Trattati vogliono sotto il 3 per cento. Significherebbe mettere da parte la proposta della Commissione, che potrebbe farsi promettere un nuovo Patto entro il 2025.

Secondo alcuni, compresa la Commissione, il vecchio Patto è complicato e difficilmente applicabile; ma la proposta della Commissione rischia di esserlo altrettanto. Secondo altri, compreso il governo italiano, è insopportabilmente severo; ma la correzione della velocità minima di discesa del debito potrebbe migliorarlo. All’opposto, c’è chi lo ritiene inefficace e permissivo, applicato senza rigore anche prima di esser sospeso per la pandemia; ma non va sottovalutata la disciplina che, fino al 2019, la sola esistenza del Patto ha comunque esercitato – anche se è difficile provarlo – su finanze pubbliche che senza Patto sarebbero state probabilmente più squilibrate.

Infine c’è il mercato, che dovrà comprare i titoli e giudicherà la sostenibilità dei debiti pubblici anche prescindendo dal Patto. Tutto ciò con un ammontare di debito acquistato dalla BCE col “quantitative easing” pari a due volte e mezza il totale del debito pubblico italiano: debito che, per tornare alla normalità, dovrebbe accelerare il suo ritorno al mercato.

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