Cosa cambia per l’Italia con il Patto per la migrazione e l’asilo, approvato lo scorso 10 aprile dal Parlamento europeo, e in procinto di essere approvato anche dal Consiglio?

Per l’Italia cambia poco o niente

Il Patto non scardina il principio base del regolamento di Dublino: sul Paese di primo ingresso continua a gravare l’accoglienza dei migranti e la valutazione delle loro domande d'asilo. Le deroghe a tale principio – ricongiungimenti familiari, conoscenza della lingua o ottenimento di un titolo di studio in uno Stato membro consentiranno di chiedere l’asilo a un Paese diverso da quello di arrivo – non sposteranno numeri rilevanti di migranti.

È vero che il Regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione, uno dei 5 pilastri del Patto, prevede una soglia minima di migranti – 30mila presenze, numero che potrà essere rivisto secondo i flussi – da ridistribuire ogni anno e che la Commissione individuerà una quota a carico di ciascun Paese in base a Pil e popolazione. Questa solidarietà, per quanto obbligatoria, sarà comunque flessibile: se un Paese non vorrà accogliere migranti, potrà pagare una compensazione finanziaria pari a 20 mila euro per ogni persona non accettata. Se tutti i Paesi non di frontiera preferiranno offrire soldi anziché accoglienza, il carico su quelli di frontiera non sarà alleviato.

Dunque, quando il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, dice che con il Patto migrazione e asilo, «il regolamento di Dublino è stato finalmente superato» fa una affermazione non rispondente al vero.

I maggiori oneri

La situazione di Paesi come l’Italia è resa addirittura più onerosa. Da un lato, il periodo di responsabilità del primo Paese in cui i migranti fanno ingresso si protrae per 20 mesi, rispetto ai 12 attuali (restano 12 per chi è salvato in mare). Dall’altro lato, si allungano da 18 mesi a 36 mesi i tempi entro cui i richiedenti asilo che siano andati in altri Paesi, anziché restare in quello di entrata, possono essere trasferiti a quest’ultimo. La procedura che oggi rende complicati tali trasferimenti è sostituita da una mera notifica da parte dal Paese terzo a quello di primo ingresso.

Di conseguenza, saranno più difficili i movimenti secondari, che finora avevano consentito all’Italia dei ricollocamenti in via di fatto, con relativo sgravio dall’onere dei migranti arrivati. Peraltro, questi ultimi potranno essere più agevolmente rintracciati e rimandati nel Paese di primo ingresso anche per la schedatura che ne sarà fatta ai sensi dei regolamenti Eurodac e screening, mediante la raccolta di impronte digitali e immagini del volto.

È prevista la raccolta di dati anche dei bambini a partire dai sei anni, nonostante per il regolamento sulla protezione dei dati (GDPR) il trattamento di quelli biometrici è lecito solo a partire dai 16 anni. Anche se formalmente per i minori il fine è la loro protezione, essi saranno comunque oggetto della sorveglianza di massa realizzata dal nuovo Patto.

La procedura di frontiera

Ai Paesi di primo arrivo spetterà anche il compito di fungere da barriera a difesa dell’Unione europea, facendo in modo che i migranti non ne attraversino i confini, ma restino chiusi in appositi centri nei quali opera la «finzione giuridica del non ingresso». In tali centri si svolgerà la “procedura di frontiera”. Si tratta di un iter accelerato di valutazione (12 settimane al massimo) che riguarderà, tra gli altri, chi arrivi da Paesi con una percentuale di richieste di asilo accolte inferiore al 20%, nel presupposto che l’asilo sarà comunque negato perché il Paese di provenienza è “sicuro”.

Le persone soggette a tale procedura – incluse famiglie con bambini – saranno “detenute” nei centri nonostante non abbiano commesso reati. Lo stato di detenzione e l’assenza di idonee garanzie di difesa renderanno per loro più difficile dimostrare che, pur arrivando da un Paese sicuro, necessitano di protezione per condizioni personali. La blindatura dell’Ue avviene, quindi, ledendo diritti fondamentali dei migranti. Così come li ledono certe azioni di “respingimento” poste in essere da Paesi terzi, poco democratici, finanziati dall’Ue per difenderne i confini esterni. Ora tali finanziamenti – mediante fondi acquisiti in alternativa ai ricollocamenti – sono stati previsti pure dal Patto.

In determinate circostanze la procedura di frontiera potrà essere estesa a tutti i migranti in arrivo. I centri rischiano così riempirsi a dismisura, in mancanza di rimpatri veloci, con gravi problemi ancora una volta a carico dei Paesi di primo ingresso, ove i centri stessi sono situati.

Fra due anni le norme diverranno operative e se ne potrà verificare il funzionamento. Ma i dubbi già ora sono molti, e a ogni livello.

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