Il centrosinistra ha evitato il suicidio preventivo: l’accordo tra Pd e Azione cacella lo scenario nel quale le destre avrebbero vinto a tavolino, grazie alla frammentazione degli avversari nei collegi uninominali.

L’effetto collaterale dei vari veti di Carlo Calenda al partito guidato da Enrico Letta è quello di aver imposto un po’ meno candidature blindate a leader di partitini privi di una solida base elettorale, a cominciare da Luigi Di Maio con il suo Impegno civico. Basta per avere una speranza contro Giorgia Meloni e Matteo Salvini? No, ma è un inizio.

Adesso si tratta di chiudere la discussione sulle poltrone (ci sono ancora venti giorni prima di arrivare alle liste) e passare a quella sulla proposta politica.

Calenda ha saputo usare tutto il suo potenziale di coalizione e ha ottenuto un successo personale che lo riporta là dove era partito tre anni fa: dentro il Pd ma anche fuori. Nel 2019 aveva fatto la stessa operazione con la sua lista/movimento Siamo europei, ora con Azione.

La differenza è che alle europee i programmi contano zero, alle politiche sono decisivi per spostare gli indecisi che non hanno una appartenenza pregressa.

Dagli 80 euro di Matteo Renzi al reddito di cittadinanza dei Cinque stelle al più remoto “aboliremo l’Ici” di Silvio Berlusconi (una delle tante cose di destra, altro che moderate, fatte da Forza Italia per incentivare la disuguaglianza in Italia).

Calenda ha approfittato della assenza di idee del Pd per imporre, nell’accordo di coalizione, il suo programma di Azione. Letta continua a ripetere la stessa proposta, elaborata dal Forum disuguaglianze e diversità, di una riforma della tassa di successione per dare una “eredità universale” a tutti i neodiciottenni (che da questa elezione votano anche per il Senato, dettaglio rilevante). 

Calenda ha così imposto l’Agenda Draghi che pure Letta aveva evocato nei primissimi giorni di campagna elettorale. Cioè un non-programma ma la prosecuzione dell’approccio di compromesso con il centrodestra che ha retto il governo Draghi, che doveva essere un momento straordinario e transitorio, non la nuova normalità.

Oltre il “meno peggio”

I rapporti di forza con Calenda, sanciti dal “patto elettorale”, diventano l’alibi che il Pd stava aspettando per evitare di elaborare proposte radicali e nette: nessun Mélenchon in Italia, nessun Bernie Sanders, ma neppure nessuna Elizabeth Warren e neanche Emmanuel Macron.

La legge elettorale sembra forzare il centrosinistra a un moderatismo ineludibile che abbraccia tutti – da Mariastella Gelmini a Luigi Di Maio – e che però agli elettori consegna soltanto la magra consolazione del meno peggio. Non è abbastanza.

L’Ufficio parlamentare di bilancio, autorità indipendente sui conti pubblici, ha pubblicato ieri la nota sul contesto economico nel quale si svolgeranno le elezioni. E c’è da preoccuparsi: la crescita nel 2022 sembra meglio del previsto, +3,2 per cento, ma la frenata nel 2023 sarà assai più brusca delle attese, con un Pil che aumenterà soltanto dello 0,9 per cento.

Il record di occupati è una ben magra soddisfazione, visto che c’è anche un record di posti vacanti: è il segno di un sistema che non riesce a crescere neppure quando il contesto è favorevole, un mercato del lavoro nel quale mancano le competenze richieste e con salari che non si adeguano (lavoratori inutili hanno stipendi troppo alti, quelli scarsi e richiesti troppo bassi, che siano camerieri o social media manager).

Le stime dell’Upb, e non è un dettaglio, si basano sull’ipotesi della piena attuazione degli investimenti previsti dal Pnrr, che valgono 1,5 punti di Pil in due anni.

L’economia italiana è un meccanismo  fragile, che finora ha retto grazie anche allo scudo di credibilità di Mario Draghi. Ma il contesto è complesso: promettere di amministrare l’esistente con prudenza e responsabilità è certamente apprezzabile, ma non basta.

Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno già iniziato a promettere flat tax, sussidi e sostegni fiscali incompatibili con il quadro di finanza pubblica. E che non si faranno mai. Il centrosinistra non deve competere sul piano degli slogan, ma trovare un po’ di coraggio per affrontare i problemi strutturali.

Bastano poche idee azzeccate all’alleanza Pd-Azione e partitini vari per tornare competitiva. L’Agenda Draghi non basta.

© Riproduzione riservata