Pd, M5s e terzo polo sono come degli uccellini che non riescono a convivere sullo stesso ramo e si beccano a vicenda. Sembrano ignorare l’arrivo della minacciosa nuvola nera della peggiore destra della storia repubblicana. Giorgia Meloni, come ricorda Romano Prodi, è ancora più a destra di Marine Le Pen.

L’unico che sembra avere capito la situazione è Sergio Mattarella. Lo scorso gennaio aveva ribadito con forza di non essere intenzionato a rimanere al Quirinale, e infatti aveva già cominciato il trasloco per tornare nella sua Palermo. È stato anche lui «costretto» a restare, come Giorgio Napolitano. La differenza è che questa volta la vittoria del centrodestra sembra talmente schiacciante da arrivare ai due terzi del parlamento e cambiare la costituzione. Mattarella è stato una figura centrale della storia italiana, dai tempi della Democrazia cristiana siciliana ancora corrotta, con la lotta alla mafia al fianco del fratello Piersanti, presidente della regione assassinato nel 1980. Si dimette poi dal governo Andreotti per la famigerata legge sulle televisioni voluta da Bettino Craxi che spalancò la strada a Silvio Berlusconi. Da quando è stato eletto presidente della Repubblica nel 2015 ha dovuto affrontare altre scelte coraggiose. La più importante è arrivata quasi a fine mandato, quando ha chiamato Mario Draghi a gestire una crisi pandemica drammatica e i rapporti internazionali che hanno sorretto l’Italia in questi anni, a cominciare dai soldi del Pnrr. Mattarella e Draghi, insieme, hanno costituito i pilastri su cui si è retta l’Italia, e l’ultimo anno e mezzo è stato una delle stagioni più brillanti della storia italiana. A guidare il paese c’erano tutti i partiti, uniti nelle differenze. Mattarella ha accettato la rielezione sapendo di dover rimanere altri sette anni.

Non aveva certo questo desiderio, ma ha capito che era necessario. Berlusconi, infatti, appena è caduto il governo Draghi, ha declamato a gran voce che con la nuova legge del presidenzialismo in programma, Mattarella dovrebbe andarsene. Presi dalla foga della campagna elettorale, Pd, M5s e Azione sembrano perdere di vista che questa è la questione seria. Il centrosinistra aveva due possibilità. Cambiare la legge elettorale, e avrebbero avuto tutto il tempo di farlo, oppure creare delle alleanze competitive. I suoi leader non hanno fatto né l’una né l’altra cosa e hanno scelto una terza via, la peggiore: non hanno cambiato la legge e non si sono alleati.

È evidente che i tre partiti saranno costretti a dialogare a partire dal 26 settembre. Ci saranno presto altre sfide da affrontare, come le vicine elezioni regionali nel 2023. È incomprensibile per gli elettori che abbiano preferito arrivare al voto con la miserabile soddisfazione delle loro piccole percentuali invece di creare una forza competitiva.

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