Il baricentro del governo Draghi sembra ondeggiare verso scelte targate centrodestra. Un posizionamento che si affianca a una esplicita sfida lanciata da Italia viva alla leadership del Pd nella città simbolo della sinistra, Bologna, in vista delle elezioni amministrative di settembre. Si vuole mettere il Pd alle corde e con esso un campo di centrosinistra? Sembra di sì. Per sconfiggere sul nascere una strategia politica riconoscibilmente di sinistra, che vuole coniugare giustizia sociale, legalità ed efficienza. Che vuole combattere l’abitudine al privilegio e al profitto a costo della sicurezza, dell’assistenzialismo delle classi imprenditoriali, una palla al piede al dinamismo economico e sociale come ha scritto Stefano Feltri pochi giorni fa. Il sommovimento ideologico ha fatto da contraccolpo all’attivismo del neosegretario Enrico Letta, moderato nello stile ma con un’ammirevole lucidità di contenuti. Nel giro di poche settimane Letta ha lanciato un segnale chiaro: stare al governo insieme ai naturali avversari politici non equivale a sospendere la propria specificità. Il Pd ha incalzato la maggioranza articolando proposte che valgono a contenere il protagonismo della destra e a posizionare le proprie scelte strategiche in vista del futuro prossimo. Due temi hanno marcato l’azione del Pd in senso riformatore: la politica in difesa del lavoro e la giustizia redistributiva.

Scontro diretto

Sul fronte della difesa dei posti di lavoro lo scontro è stato diretto. Il governo ha tentato di far saltare la proroga del blocco dei licenziamenti ipotizzata dal ministro del Lavoro Andrea Orlando. Il quale ha subito un durissimo attacco da Confindustria che gode di una forte rappresentanza nel governo e di un potere sproporzionato di influenzarne le decisioni. Secondo i sindacati e le previsioni di Banca d’Italia, la rimozione del blocco dei licenziamenti rischia di produrre 500mila nuovi licenziamenti (non che il blocco non abbia impedito alle aziende di liberarsi di lavoratori, o non rinnovando contratti a termine o non sostituendo i pensionati). Alla fine, la soluzione adottata dal governo è stata una mezza sconfitta per il Pd, con la decisione di scaglionare la proroga (due scadenze, il 1° luglio e il 31 ottobre) ma di non prolungare la Cig Covid per luglio e agosto, preferendo incentivare le aziende a non licenziare con la sospensione delle addizionali.

Giustizia

Sul fronte della giustizia redistributiva, Letta ha lanciato la proposta di aumentare le aliquote della tassa di successione per i patrimoni oltre i cinque milioni di euro. Dinieghi e critiche sono arrivate puntuali e nette, a partire dal presidente del Consiglio che ha ripetuto che questo è il tempo di dare non di prendere; strana risposta, visto che Letta non ha proposto di vessare o punire chi ha molto. Ha parlato invece di una revisione in senso progressivo delle aliquote su successioni e donazioni superiori a 5 milioni; riguarda l’1 per cento degli italiani. Un allineamento ai principi della Costituzione e ai parametri fiscali di altri paesi europei. Oggi, dalle tasse di successione l’Italia incassa circa 800 milioni contro i 6 miliardi della Gran Bretagna, i 7 miliardi della Germania e i 14 miliardi della Francia. Come ha detto Francesco Boccia in una intervista a Radio Radicale, «se il presidente Draghi è lo stesso che poco tempo fa esaltava il modello fiscale danese, che tassa le ricchezze, o che lo scorso anno parlava di debito buono e di debito cattivo, questo è il momento di dimostrarlo».

Reazione dura e semplicistica

Dopo tanto parlare di diseguaglianze e di povertà, con dotte citazioni da Thomas Piketty e da Tony Atkinson ci si sarebbe aspettato se non altro un dibattito serio. Invece abbiamo assistito a una reazione dura e semplicistica contro il “ritorno del comunismo” anche a costo di propinare fake news con la narrativa di uno stato vampiro che spolpa la classe media derubando i figli dell’appartamento da lasciare in eredità. L’impressione è che l’1 per cento sia molto meglio rappresentato di tutti gli altri italiani, e che il lamento per le diseguaglianze sia un vezzo moralistico che vale a giustificare carità e filantropia, non politiche dedicate a garantire sicurezze, condizione basilare per progettare il futuro e investire. L’Italia è uno dei paesi europei con più alti livelli di diseguaglianza. Ha fatto bene Letta a lanciare adesso questa proposta per marcare l’identità del campo di centrosinistra in chiave di diritti e di giustizia sociale. Affinché la campagna tra destra e sinistra non sia su chi vuole i migranti e chi no, ma su chi vuole un’Italia più o meno giusta, più o meno diseguale.

 

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