La guerra catalizza, inevitabilmente, la nostra attenzione. Ancor più se i maggiori quotidiani nazionali vi dedicano ogni giorno da dieci a 15 pagine. Eppure, oltre la guerra c’è la politica. Non quella internazionale, bensì quella domestica. Gli elettori, per quanto frastornati dalle crude immagini di morte e distruzione, quando vanno votare decidono sulla base di interessi e valori legati alla dimensione nazionale.

Basti ricordare che nel giugno del 1945, un mese dopo la fine della seconda guerra mondiale, Winston Churchill, l’eroe intrepido della resistenza al nazismo nell’ora più buia, poi destinata a diventare quella più bella e gloriosa, venne licenziato dagli elettori che gli preferirono il programma del welfare state dei laburisti.

Per questo è tempo di riportare l’attenzione su quando accade nella nostra arena politica. E in particolare sul Pd, partito di governo per antonomasia: una definizione che discende dalla sua disponibilità ad assicurare, in tante situazioni, la governabilità, anche al rischio di raccogliere un pugno di mosche, come successe a Pierluigi Bersani nel 2013, dopo il sostegno al governo Monti.

L’agenda del Pd

Il segretario Enrico Letta sembra cosciente di questo pericolo, perché la convivenza al governo con la destra forzaleghista va molto stretta al Pd. Letta continua a manifestare un inossidabile appoggio al Mario Draghi e a condividerne soprattutto l’agenda europea e internazionale ma, come ha sostenuto recentemente, non è disposto a prendere schiaffi da tutti.

Questo perché il Pd dopo aver navigato a lungo in mezzo alla nebbia ha elaborato una sua agenda politica, con al centro i diritti civili e la giustizia sociale. Temi che sono in palese contraddizione con quanto sbandierano a destra.

Difficile governare con chi, come la Lega e Forza Italia, difende a spada tratta privilegi e ruberie, e pretende di non far pagare le tasse ai ricchi e di sottrarre sostegni ai poveri. Il Pd alza giustamente la voce di fronte a queste sconcezze.

Senza tuttavia eccedere in scenate salviniane: basta un tono fermo e sicuro per distanziarsi dalle sguaiataggini dei cosiddetti alleati di governo. È con questo passo da «forza tranquilla», determinato sui principi e chiaro sugli obiettivi, che il segretario dl Pd ha messo ordine in casa propria e ora incalza gli avversari sui terreni del partito, quelli dell’equità sociale e dell’universalità dei diritti.

E sul piano internazionale il Pd può esibire una posizione cristallina su europeismo e atlantismo, quando tutti gli altri hanno, in diversa misura, scheletri putinani ed euroscettici nei loro armadi. Per questo, un governo che voglia agire credibilmente nella crisi attuale non può che essere a trazione democratica. Mentre gli altri partiti sono zavorre, inevitabili nel breve periodo, ma pur sempre zavorre.  Il presidente del Consiglio ne prenda atto.

© Riproduzione riservata