Soltanto una “storia” effimera, di quelle che durano 24 ore, ma l’attacco di Chiara Ferragni a Giorgia Meloni segna un passo nella direzione della rilevanza politica degli influencer. Ma quanti voti sposta Ferragni?

L’imprenditrice digitale ha condiviso un post della testata The Vision con questo contenuto: “Fratelli d’Italia ha praticamente reso impossibile abortire nelle Marche, che governa. Una politica che rischia di diventare nazionale se la destra vince le elezioni”. Il commento di Ferragni è questo: “Ora è il nostro tempo di agire e far si che queste cose non accadano”.

Come in altre incursioni di Ferragni sul campo politico, l’italiano è incerto e il messaggio criptico: quali sono le cose che non devono accadere? Che le regioni vietino l’aborto? Che Fratelli d’Italia vinca le elezioni? O che da premier Giorgia Meloni estenda le politiche anti-abortiste sperimentate nelle Marche?

Quale sia poi l’azione caldeggiata non è chiaro: votare chiunque ma non Meloni, pare. Ammesso che il “nostro tempo” sia quello degli elettori, e il riferimento non sia invece a “noi influencer”, come appello ai colleghi perché si occupino della campagna elettorale.

Per essere una professionista della comunicazione, Chiara Ferragni dimostra una peculiare ambiguità nel dare messaggi politici. Un precedente, a luglio 2021: in una complessa vicenda parlamentare, il posizionamento di Italia viva risulta decisivo per blocca la legge Zan sull’omotransfobia. Ferragni condivide un post di altri con la faccia di Matteo Renzi (non si azzarda a produrre contenuti originali a tema politico) e un commento tanto netto quanto poco mirato: “Che schifo che fate politici”.

Difficile che il follower medio di Chiara Ferragni abbia la più vaga idea di cosa lei sta parlando. Quei 27,7 milioni di follower sono un po’ di tutto il mondo, assai più interessati alla moda e alle dinamiche della famiglia  Ferragnez più che alle polemiche della giornata politica.

Infatti, Ferragni non dedica mai post o reel – cioè contenuti permanenti – a queste intemerate politiche, le lascia confinate nelle “stories” che dopo un giorno svaniscono. Sa che verranno notate da tutti, ma non rimarranno parte della sua offerta “contenutistica” presentata a chi arriva sul suo profilo in futuro.

Inoltre, quei contenuti non sembrano indirizzati a persuadere o influenzare il follower: probabilmente non uno dei 27,7 milioni di follower avrà cambiato la propria intenzione di voto dopo aver visto la storia su aborto e Marche. Eppure, l’intero modello di business di Ferragni è costruito sul delicato equilibrio tra contenuti destinati a fidelizzare (le vacanze, i giochi con i bimbi, i baci col marito Fedez) e quelli di natura commerciale e promozionale, di prodotti propri o altrui. Niente è lasciato al caso.

La spiegazione per l’apparente sciatteria dei messaggi politici è che questi non abbiano come obiettivo di scuotere le coscienze, ma soltanto affinare l’identità del brand Ferragni. Certo, Chiara Ferragni è associata alla leggerezza e al disimpegno, ma leggerezza e disimpegno possono essere di destra o di sinistra.

Poiché Ferragni è un po’ sbilanciata verso un immaginario tradizionale, perfino conservatore (famiglia standard, edonismo, brand aspirazionali), ogni tanto aggiunge un tocco politicamente connotato che solletichi la parte progressista del suo pubblico e dei suoi potenziali clienti senza compromettere i rapporti con gli altri.

Da tempo la politica ha scoperto l’utilità del marketing, ora il marketing accetta che perfino la politica ogni tanto può essere funzionale.

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