Il Mezzogiorno è la più grande area in ritardo di sviluppo di tutta l’Europa occidentale. È  anche il motivo per cui noi risultiamo il maggior beneficiario del Next Generation EU, dato che abbassa il reddito e l’occupazione dell’Italia al di sotto della media europea. E non a caso la partita decisiva del Pnrr, e del nostro Paese, si gioca soprattutto al Sud: qui dove è più difficile spendere i fondi e spenderli bene.

Eppure, il Mezzogiorno si era eclissato nel dibattito pubblico nazionale, da almeno un anno. Il forum «Verso Sud» del 13 e 14 maggio è, se non altro per questo, da accogliere con favore.

In due giorni si ritrova a Sorrento buona parte della classe dirigente nazionale, e non solo. In alcuni interventi, poi, si nota un certo cambio di impostazione rispetto al passato. Almeno sulla carta.

Nel recente passato infatti la questione meridionale era stata ridotta a un problema di criminalità diffusa e scarso senso civico, che impedivano al mercato di funzionare come dovrebbe.

Beninteso, sono nodi cruciali; ma la loro soluzione, necessaria, oggi non basta a risollevare il Sud. Perché questo si va ormai spopolando, mancando soprattutto di energie giovani; perché, salvo lodevoli eccezioni, la scarsità di competenze morde tutti i gangli dell’economia e della società, dalla scuola, all’amministrazione, alle imprese; e perché qui le tre grandi ingiustizie del nostro paese (cioè le disuguaglianze di classe, di genere e generazionali) sono più gravi e risultano di per se stesse un freno allo sviluppo.

Per tutti questi motivi, non basta rimuovere gli ostacoli al buon funzionamento dei mercati, né basta controbilanciare (temporaneamente) i maggiori costi delle imprese con esenzioni fiscali. È utile, certo.

Ma accanto a questo occorre anche un massiccio piano di investimenti, pubblici: nel sociale, nell’istruzione, nelle infrastrutture di trasporto e digitali, nella transizione energetica. E occorre poi modificare le istituzioni (ad esempio cambiando le regole di gestione dei fondi europei, per sottrarli alle regioni).

Adesso, finalmente, sembra che questa consapevolezza si stia facendo strada. Mario Draghi, ad esempio, per la prima volta ha ricordato che c’è stato un tempo in cui il Sud Italia è riuscito a crescere più del Centro-Nord, durante il miracolo economico, e che questo si deve agli investimenti pubblici.

C’è stato un intervento pubblico che funzionava, a quel tempo, solo dopo è degenerato; e che ora dobbiamo tornare a far funzionare.

Oggi questo vuol dire innanzitutto, ma non solo, usare bene i fondi del Pnrr. Il 40 per cento (circa 80 miliardi) dovrà andare al Sud. Il punto però è che l’anno scorso, quando il Pnrr è stato scritto, questi miliardi non sono stati assegnati su obiettivi precisi, in base alle effettive esigenze dei territori; ma distribuiti in percentuale uguale per ogni settore; e saranno poi allocati, in buona parte, secondo le capacità delle amministrazioni locali di progettare e realizzare i bandi.

Il rischio è che alla fine le amministrazioni del Nord otterranno più fondi, mentre il Sud al solito non riesce a spenderli. Con il risultato di aggravare ulteriormente i divari, anziché ridurli. Certo, bisognava pensarci prima. Ma si può ancora rimediare.

Riscrivendo alcuni decreti, per chiarire ad esempio che gli asili nido devono essere costruiti prioritariamente nei comuni dove non ci sono (e quindi realizzarli, se necessario, con poteri straordinari).

I grandi convegni sono utili, e benvenuti, perché servono a riaccendere i riflettori. E specie se segnalano anche un cambio di registro e di visione. Ma devono essere seguiti dai fatti.

© Riproduzione riservata