L’appello dei mille (valli poi a contare) - perché Gpt sospenda «per un semestre» l’imparare - copre le tracce degli interessi privati con la preoccupazione per i lavoratori ed i bambini. In pratica cosa accadendo, per quanto ne capiamo?

Ci sono alcuni monopoli verticali (Google con Meta, e Twitter in aggiunta nel suo piccolo) che negli ultimi trent’anni si sono posti come fortezze inespugnabili perché possiedono ognuno (verticalmente) quel che segue.

Innanzitutto la potenza di calcolo che, trova, per capirsi, l’equivalente nella proprietà delle torri di trasmissione da parte dei monopoli che dettero il via alla televisione, sicché, divieti a parte, era escluso a priori che altri potessero avventurarsi nell’impresa a causa del colossale investimento richiesto dall’inizio in tralicci, parabole, centri di gestione.

In secondo luogo l’algoritmo della pubblicità mirata che in breve ha risucchiato ricavi a scapito di radio, tv, giornali.

In terzo luogo il patrimonio di dati mano a mano accumulati che imponevano un distacco incolmabile a chiunque volesse entrare nella lizza offrendo volumi di profili agli inserzionisti.

La novità destrutturante di Gpt

La novità di Gpt non sta nel costituire il monopolio ennesimo che si pone accanto agli altri, ma di porre la potenza di calcolo, per di più generativa, a disposizione di chiunque ci voglia piantare sopra una sua applicazione di ricerca, di social, di commercio.

E con questo il primo privilegio dei monopoli attuali viene di colpo eliminato perché ognuno pagando non l’investimento, ma il noleggio su misura di quello che gli serve, può inventarsi l’algoritmo applicativo che gli pare. Quindi il monopolio farlocco della potenza algoritmica crolla di botto.

Il terzo punto crollerebbe nell’istante in cui la Ue (dagli Stati Uniti non c’è verso d’aspettarselo) obbligasse alla pratica effettiva della proprietà dei dati da parte dell’utente che li genera. Così ognuno potrebbe rivenderne l’utilità a chiunque degli ideatori di app pronti a noleggiare la potenza di calcolo da Gpt.

Così due cose sono chiare. La prima è che il fremito di prudenza dei mille guidati da Elon Musk per le sorti dell’umano genere altro non è che il riflesso dell’orrore di trovarsi smontato il capolavoro monopolistico da cui hanno succhiato denaro  decennale in quantità.

Ma, francamente, oltre a consigliarli un Prozac, non sapremmo come consolarli.

L’attivismo sospetto 

Più disperante il comportamento del Garante italiano della privacy che può sembrare come l’azzeccagarbugli di fiducia di Mark Zuckerberg e compagnia e l’uomo di mano che sbarra l’Italia a Gpt.

Non che non dica cose dotate di qualche fondamento: è vero che i controlli di identità che aprono gli account sono inconsistenti.

Ma questo è esattamente quanto accade da sempre con tutti i social e qualsiasi servizio, a parte quelli finanziari, erogato dalla rete.

Quindi la vogliamo prendere per buona: sospenda Facebook, Google e compagnia finché questo problema non sia risolto. Inoltre, già che ci si trova, potrebbe farsi proattivo, anzi che reticente sulla questione del commercio autonomo dei dati propri da parte degli utenti.

Finora, per aprire un varco nella questione, c’è voluto un altro Garante, quello dell’Antitrust con la recentissima delibera che regola i rapporti di Google con l’applicazione Weople che non riusciva ad ottenere, nonostante il regolamento della Ue, i dati degli utenti che gli ne avevano rilasciato delega al riguardo. Insomma, avere un Garante è bello, a patto di sapere cosa e chi effettivamente garantisca.

© Riproduzione riservata