Il piano infrastrutturale, chiamato simbolicamente American Jobs Act, presentato dal presidente degli Stati Uniti vale 2.250 miliardi su un arco temporale di otto anni e contiene in prevalenza interventi sulle infrastrutture fisiche: ponti, strade, autostrade, trasporto pubblico, ferrovie, stazioni di ricarica per veicoli elettrici, ammodernamento della rete elettrica, diffusione della banda larga e molto altro.

Il finanziamento di tali misure è previsto lungo un arco di quindici anni, attraverso l’aumento dell’imposta sulle società dal 21 al 28 per cento e l’innalzamento della cosiddetta minimum tax sui profitti internazionali al 21 per cento dal 13 per cento circa attuale.

Il piano è la traduzione operativa dei messaggi simbolici sul ritorno dell’America iconica delle grandi opere infrastrutturali a sostegno di una occupazione manifatturiera di qualità e della sindacalizzazione pervasiva: il ritorno alla stagione prima della stagflazione degli anni Settanta. Allora c’era la confrontation con l’Unione Sovietica, oggi con la Cina.

Questo clima di revival è stato positivamente accolto da economisti come Paul Krugman, che ritiene che il mix infrastrutture-manifattura-sindacati-tasse sia un simbolo americano come la torta di mele e che è stato eroso, umiliato e smarrito dall’era reaganiana in avanti.

Le aziende statunitensi hanno espresso la propria scontata perplessità per l’aumento di imposizione ma per il ora non sembrano aver tolto la fiducia a Biden. Del resto, il gettito dell’imposta sulle società negli Stati Uniti è pari a circa l’1 per cento del Pil, contro una media Ocse superiore al 2 per cento. Significativo anche il fatto che il pacchetto di interventi preveda il potenziamento delle attività di accertamento dell’IRS (il fisco statunitense), che sulle imprese sono da tempo in calo costante.

A queste misure, che potremmo definire di infrastrutture hard o tradizionali, seguiranno quelle relative alle infrastrutture umane o soft, come la cura dei figli. Per queste ci si attende che le coperture saranno centrate su aumenti di imposta per le persone fisiche, col limite di reddito di 400.000 dollari annui, che Biden pare identificare con la classe media americana anche se non chiarisce se si tratti di singoli o famiglie.

President Joe Biden delivers a speech on infrastructure spending at Carpenters Pittsburgh Training Center, Wednesday, March 31, 2021, in Pittsburgh. (AP Photo/Evan Vucci)

Il percorso legislativo dell’American Jobs Act non sarà semplice. Alla tradizionale contrarietà dei Repubblicani ad aumenti di imposte si sommerà verosimilmente anche quella dei Democratici moderati e fiscalmente conservatori, mentre la sinistra Dem cercherà di tenere alta la bandiera dell’aumento di imposte per imprese e soggetti agiati.

Avere accorpato nello stesso pacchetto legislativo spesa infrastrutturale e più tasse alle imprese faciliterà le obiezioni di quanti tenteranno di disinnescare il secondo mantenendo la prima. Per esempio, che i tassi molto bassi consentirebbero ulteriore spesa in deficit, oppure che le coperture potrebbero essere reperite in misura non marginale attraverso contributi degli utenti delle infrastrutture, ad esempio in forma di pedaggi.

Ma evidentemente l’amministrazione Biden ritiene, in tal modo, di mandare anche un distinto messaggio politico: paga chi può, sia per le infrastrutture fisiche che per quelle umane. Forse si tratta anche di un modo per esprimere scetticismo rispetto al “nuovo nirvana” economico e monetario, secondo cui l’inflazione non esiste più, il debito ha smesso di essere rilevante e tutto può essere finanziato a deficit.

Il piano è certamente una grande scommessa di rigenerazione del modello economico del paese, in un movimento pendolare di ritorno alle origini simboliche della grande crescita americana degli anni Cinquanta e Sessanta. Dovrà sottoporsi al test della realtà. Ad esempio, agli iter autorizzativi delle opere pubbliche ed ai vincoli ambientali, anche se tali infrastrutture vengono presentate come climate friendly.

A questo riguardo, si sono levate voci che ritengono insufficienti gli interventi previsti, in assenza di una carbon tax. La delicatezza di questo tema è confermata dalle perplessità che gli americani hanno espresso alla Ue sulla creazione di una carbon tax di confine, anche per finanziare il Recovery Plan.

Il protezionismo travestito da lotta al cambiamento climatico è sempre dietro l’angolo; l’amministrazione Biden è certamente più internazionalista di quella Trump ma non appare transigere sulla difesa dell’occupazione americana e sul desiderio di rimpatriare alcune catene di fornitura, anche per motivi di indipendenza strategica..

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