Nel 2020 l’Unicredit ha dato al suo amministratore delegato, Jean-Pierre Mustier, 910mila euro di stipendio. Poi Mustier si è dimesso ed stato ingaggiato Andrea Orcel con una retribuzione annua di 7,5 milioni.

Basterebbe questo dato a dimostrare che i consigli di amministrazione delle banche italiane sono diventati delle scoppiettanti sale Bingo, neppure chiuse per il Covid.

Ma l’apparente schizofrenia con cui Unicredit remunera i suoi top manager scompare di fronte all’impresa del cda del Credito Valtellinese, più noto come Creval, che per il 2020 ha dato al suo ad Luigi Lovaglio, per la precisione, 3.036.979 euro.

Notate bene. Esattamente un anno fa le cronache segnalavano la decisione di molti top manager di tagliarsi lo stipendio come segno di solidarietà con il resto dell’umanità assediata dal Covid.

Lo stesso Mustier ha rinunciato a un quarto della sua retribuzione che sarebbe stata di 1,2 milioni di euro. Invece il Creval ha ritenuto che il suo Maradona meritasse un aumento di stipendio del 70 per cento rispetto all’anno prima.

Per tutto questo l’unica spiegazione disponibile è la più semplice. Questi signori tengono la cassa e decidono da soli quanti soldi degli altri mettersi in tasca a titolo di stipendio.

Poi scrivono una “relazione sulla remunerazione” infarcita di inglesorum secondo cui, nel caso specifico, essendo Lovaglio un “material risk taker” che opera all’interno di un “risk appetite framework” con risultati verificati attraverso la “chief risk officer dashboard” anche per garantirne la “retention”, ha maturato a titolo di "bonus pool 2021" e di “long term incentive”, basato quest’ultimo sulla attribuzione di “phantom share”, una quantità di denaro spaventosa.

Questa è la trasparenza imposta dal Testo unico della finanza del 1998, detta anche legge Draghi, per la quale dobbiamo dare merito all’attuale presidente del Consiglio perché prima gli stipendi dei manager, bancari o non, erano segretati per legge.

Però ancora manca l’obbligo di rispondere in termini comprensibili, possibilmente in italiano, a domande come questa: perché Creval (una banchetta che eroga 15 miliardi di crediti) ha dato nel 2020 al suo numero uno il triplo di quanto ha dato al suo Unicredit, che eroga 450 miliardi di crediti ed è quindi 30 volte più grande di Creval?

Il tetto raddoppia

La storia può sembrare piccola, di dettaglio, ma è raccapricciante. I maggiori governi di tutto il mondo stanno sfasciando i bilanci statali per sostenere il reddito di milioni di persone ridotte letteralmente alla fame dalla pandemia.

Stiamo attraversando il momento più buio della storia mondiale degli ultimi 70 anni e letteralmente non sappiamo se e quando ne usciremo.

Il cda di Creval, nel bel mezzo di questa tragedia, si riunisce e decide (è andata proprio così) che lo stipendio fisso dell’ad è fissato a un milione (come il signor Bonaventura) ma la parte variabile, quella legata ai risultati raggiunti, passa di colpo dal rapporto uno a uno col fisso (cioè, massimo un milione) al rapporto due a uno, cioè il tetto massimo raddoppia a due milioni.

Alla fine del 2020 Lovaglio dimostra al suo chief risk officer (cioè a un suo sottoposto) che lui nell’anno del Covid ha raggiunto e superato tutti gli obiettivi che lui si era dato. E quindi preleva dalla cassa i due milioni di bonus pieno.

Nessuno fiata. Tace la Consob, tace la Banca d’Italia. Certo, diranno che non rientra nei loro poteri mettere bocca. Giusto, c’è il libero mercato. Con questa classe dirigente la sorte dell’economia italiana è segnata.

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