Anche in Italia si è iniziato a discutere dell’opportunità o meno di rendere obbligatoria la vaccinazione contro il Covid-19. Esistono in linea di principio due ragioni forti per sostenere questa possibilità. Il fatto che ci troviamo in un’emergenza sanitaria alla cui uscita ci possiamo avvicinare estendendo la vaccinazione a quante più persone possibile e la solidarietà sociale, che consiste nel proteggere noi stessi per aiutare a proteggere tutti gli altri, soprattutto i più deboli.

Quattro dubbi

Ma in una nostra riflessione pubblicata a settembre su Scienza in Rete sostenevamo che il problema dell'obbligatorietà era quantomeno prematuro all’epoca a causa di quattro fondamentali ragioni: la prima era che, almeno all'inizio del piano di vaccinazione, non avremmo avuto le dosi necessarie per una obbligatorietà generalizzata.

La seconda era di tipo scientifico: esistevano alcune zone di incertezza riguardo alla durata dell'immunità, al fatto che i vaccini servissero o meno a impedire il contagio, e al fatto che gli effetti a lungo termine non erano stati studiati a fondo data la velocità con cui i vaccini erano stati prodotti.

La terza era che i vaccini sarebbero presumibilmente stati più di uno, alcuni prodotti con tecniche innovative (i cosiddetti vaccini mRNA, come quelli prodotti da Pfizer-Biontech e Moderna), altri con tecniche tradizionali. La quarta era che, prima di discutere di obbligo, ritenevamo fosse opportuno constatare che l'obbligo fosse l'unico modo di raggiungere il fine desiderato (cioè l’immunità di gregge, che sarebbe meglio chiamare “di comunità”). La conclusione è stata: meglio innanzitutto pensare a una "intelligente non obbligatorietà" fondata su una seria e trasparente campagna di informazione e sensibilizzazione.

Diversi tipi di obbligo

Quando parliamo di obbligo bisogna distinguere tra obbligo per specifiche categorie professionali e obbligo generalizzato, e anche tra obbligo sul piano morale e obbligo sul piano giuridico. A noi sembra che, quanto all'obbligatorietà generalizzata sul piano giuridico, nessuna delle ragioni allora addotte sia venuta meno. E dunque restiamo dell'idea che l'obbligo giuridico generalizzato debba essere pensato come ultima ratio, quando tutte le altre possibilità sono venute a cadere. Ma non siamo della stessa idea per quanto riguarda l'obbligo per specifiche categorie professionali, in particolare medici e infermieri, poiché in questo caso è coinvolta in modo estremamente più diretto ed immediato la salute di terzi.

È bene insistere sull'incertezza riguardo agli effetti a lungo termine del vaccino. Il follow-up limitato in questo caso è ancora più importante del consueto in ragione delle tecniche innovative utilizzate, cioè quelle basate su mRNA, molecola che peraltro si degrada rapidamente. In questa situazione, le persone vanno informate e invitate a vaccinarsi assumendosi volontariamente un minimo di rischio legato all'incertezza, ma non dovrebbero essere obbligate. Il vaccino è stato approvato dalle autorità regolatrici sulla base di un bilanciamento dei rischi e benefici, fondato sul follow-up di decine di migliaia di soggetti inclusi nei trials randomizzati, ma seguiti per pochi mesi. Il problema è il margine di rischio: abbastanza piccolo per promuovere il vaccino, troppo grande per renderlo obbligatorio. Diverso il discorso per chi può minacciare la salute altrui non vaccinandosi, in particolare il personale sanitario: in questo caso l’obbligo è concepibile proprio per il coinvolgimento immediato e diretto di altre persone, per cui i benefici (a fronte degli stessi rischi) aumentano considerevolmente.

Per concludere: siamo contro l'obbligo se non come ultima ratio, ma siamo a favore del dovere morale di vaccinarsi volontariamente. Si può discutere seriamente dell’obbligo per certe categorie professionali.

 

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