Il nuovo rapporto del think tank indipendente Carbon Tracker fornisce risposte ed elementi di riflessione a uno dei temi chiave per la transizione energetica italiana: quale ruolo dare al gas? Nel delicato passaggio da un sistema che dovrebbe veder chiudere le centrali a carbone nel 2025 a uno alimentato da fonti rinnovabili, in Italia si stanno intanto progettando e sono in fase di autorizzazione 15 nuove centrali termoelettriche a ciclo combinato.

Diverse grandi utility stanno lavorando in questa direzione, tra riconversioni di vecchie centrali e nuovi impianti, per un totale di 14 GW di nuova potenza installata, in sostituzione degli 8 GW che otteniamo dal carbone e che usciranno dalla rete.

La ricerca di Carbon Tracker è importante perché ci dice senza mezzi termini che questa è la direzione sbagliata, e lo fa sulla base di un confronto tra rinnovabili e gas basato su modelli predittivi di costi, potenza e stabilità sia a che picco che in ore non di punta. Innanzitutto lo è da un punto di vista climatico, perché aggiungerebbe 18 milioni di tonnellate di emissioni (il 6 per cento del totale nazionale se prendiamo come riferimento il 2019) a un paese che deve tagliarne il 55 per cento nel corso di questo decennio.

Secondo Carbon Tracker aprire queste nuove centrali a gas sarebbe anti-economico per i cittadini, che col gas pagherebbero bollette più care rispetto alle rinnovabili, tra un decennio fino al 60 per cento in più (75 euro contro 47 euro a megawatt ora), e per gli investitori, che rischiano di finanziare nuovi impianti già non competitivi e con un quarto di secolo di vita davanti, per trovarsi alla fine con undici miliardi di euro di stranded asset, cioè attivi non recuperabili. In pratica, un vicolo cieco, soldi persi e tempo perso nella decarbonizzazione.

«Il gas è diventato una roccaforte difficile da abbattere nell'opinione pubblica e nella visione dei politici sulla base di una serie di preconcetti sbagliati», spiega Catharina Hillenbrand Von Der Neyen, responsabile Power & Utilities di Carbon Tracker.

«C'è la convinzione che il gas sia necessario in questa fase perché sarebbe più economico, sicuro e abbondante. Sono tre idee fondamentalmente false. Il nostro studio dice che un portfolio equivalente di rinnovabili fatto di eolico, fotovoltaico, batterie e sistemi di demand response sarebbe a parità di potenza più economico e soprattutto avrebbe prestazioni e sicurezza della rete identici», spiega Hillenbrand Von Der Neyen. «E poi: il gas è abbondante? Sicuramente non in Italia. È una commodity esposta a tantissima volatilità, è un pericolo per l'Europa perché i prezzi derivano da come vanno le economie asiatiche, che ne sono i consumatori principali. E per questi motivi non è nemmeno sicuro, perché mette paesi come l'Italia in una posizione di dipendenza energetica».

Numeri alla mano, cadono così gli alibi di chi vuole investire sul gas come energia di transizione, proprio mentre in Europa si discute di tassonomia, una questione che non è solo nominale ma sostanziale: inserire o no il gas - sotto certe condizioni - tra gli investimenti certificati come green dall'Unione Europea?

La direzione scelta dall'Italia getta un'ombra anche sui negoziati ambientali del G20 e della COP26 di Glasgow, che organizziamo insieme al Regno Unito. «Puntare così forte sul gas solleva sicuramente domande», è la posizione di Hillenbrand Von Der Neyen, «Ha delle ripercussioni sulla posizione negoziale dell'Italia e dell'Europa, a questo livello è anche questione di credibilità e così si rischia sicuramente di perderla».

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