È il 29 maggio 2022 quando al Louvre una persona si avvicina a La Gioconda di Leonardo e all’improvviso scaglia una torta alla panna sul vetro protettivo dell’opera. Mentre viene accompagnato fuori dalla sala, l’autore del gesto dichiara: «Tutti gli artisti pensano alla Terra. Ecco perché l'ho fatto».

A distanza di un mese, dall’altra parte della Manica, l’idea viene ripresa con mezzi diversi e intenti più chiari dal movimento Just Stop Oil.

Da Glasgow a Londra, gli attivisti incollano le proprie mani alle cornici di alcuni dipinti per promuovere le loro rivendicazioni. Primo, il governo inglese si impegni a fermare nuovi progetti in ambito oil & gas; secondo, le istituzioni culturali si uniscano alla resistenza civile per il clima.

È così che la scorsa settimana gli attivisti di Ultima Generazione hanno scelto di riproporre l’azione agli Uffizi attaccando i propri palmi a La Primavera di Botticelli.

Anche in questo caso l’azione è stata rivendicata con la richiesta di una maggior partecipazione dei luoghi della cultura nella lotta alla crisi climatica, il blocco di progetti legati a gas e carbone e maggiori investimenti in rinnovabili.

Con una nota viene spiegato che «nello stesso modo in cui difendiamo il nostro patrimonio artistico, dovremmo dedicarci alla cura e alla protezione del pianeta che condividiamo con il resto del mondo».

Disobbedienza civica

I musei europei sono dunque diventati il teatro di una nuova ondata di manifestazioni per il clima. Una scelta che si inserisce nel modus operandi di gruppi come Just Stop Oil e Ultima Generazione, che lavorano per portare l’urgenza della lotta al cambiamento climatico nella quotidianità delle persone attraverso forme di protesta non-violenta ad alto impatto mediatico (tra le più recenti: il blocco del traffico sul GRA di Roma e l’occupazione della pista del GP di Gran Bretagna).

Tutte le azioni di disobbedienza civile che li hanno visti protagonisti hanno avuto come scenario spazi ed eventi pubblici. I musei, che per definizione sono un’istituzione «al servizio della società, e del suo sviluppo, aperta al pubblico», non potevano che essere la naturale evoluzione di questo percorso.

C’è un però. Questa ondata di proteste non ha cercato una collaborazione con gli artisti e le loro pratiche. La connessione con l’arte si è limita alla scelta di alcuni quadri famosi a soggetto natura o paesaggio, che non hanno alcuna connessione autoevidente con le richieste per cui sono stati utilizzati.

I dipinti e i musei sono stati usati unicamente come cassa di risonanza, con il rischio che a passare fosse solo il gesto - “ambientalisti si incollano per protesta” - ma non il messaggio - “per chiedere l’uscita dai combustibili fossili”.

Tra gesto e scienza

Il movimento per il clima ha assunto negli ultimi anni un ruolo preciso, quello di essere il megafono della scienza. Sa di dover tradurre concetti complessi in slogan e dichiarazioni che possano far percepire l’urgenza del cambiamento e metterlo in atto. Sa inoltre di muoversi all’interno di un contesto che è quello dell’iper-comunicazione e dell’iper-interpretazione.

Nonostante i fatti alla base di ogni gesto e ogni rivendicazione siano supportati da decenni di ricerca, le istanze comunicative che ne seguono potranno arrivare al punto o essere fraintese a seconda del medium e del mediatore.

Ogni messaggio lanciato nell’ambito dell’attivismo climatico ha dunque bisogno di essere chiaro, immediato, inequivocabile. Affidare a un quadro o una scultura il compito di fare da cassa di risonanza politico-comunicativa può rivelarsi un’arma a doppio taglio. Le opere d’arte hanno sì un potente valore comunicativo ma solo se gestito in un regime di collaborazione attiva e non di utilizzo passivo.

Di possibilità in questo senso ce ne sono tantissime, soprattutto nel regime del contemporaneo. Perché dunque limitarsi a cercare una sponda nel mondo dell’arte usando opere antiche e non sfruttando le possibilità offerte dalle intersezioni tra arte e attivismo?

Tra i diversi campi entro i quali gli artisti possono muoversi, esistono anche quello del politico e dell’impegno civile. Una tendenza che, a partire dal Novecento, grazie alla smaterializzazione dell’opera e a un rinnovato ruolo dell’artista come intellettuale, ha potuto dare vita a sperimentazioni che lavorano su problemi e necessità reali, sia traducendoli visivamente che ideando progetti collaborativi coinvolgendo persone e comunità.

Joseph Beuys, tra i fondatori del Partito Verde tedesco, negli anni Settanta cercava una riconciliazione tra natura e cultura, proponendo un’arte per l’impegno sociale che potesse aspirare a cambiare il mondo, non limitandosi alla sfera simbolica, ma spingendosi in vere azioni a difesa dell’ambiente. Iconica la sua partecipazione a Documenta 7, nel 1982, con 7000 querce.

Un progetto di scultura sociale, di creazione di verde urbano dove l’artista fa accumulare 7.000 lastre di basalto a cui è legato il futuro di una piccola quercia. Chi compra la pietra, finanzia l’impianto di un albero.

Oppure Olafur Eliasson che, attraverso grandi installazioni, fa dell’arte un’esperienza emozionale e partecipativa con risvolti ecologici e sociali. Con Ice Watch l’artista ha portato la fusione dei ghiacci letteralmente sotto casa delle persone.

Dodici grandi blocchi staccati dalla calotta glaciale sono stati posti nelle piazze di Londra, Parigi e Copenaghen invitando il pubblico a relazionarsi con l’elemento naturale, il suo passato e il suo futuro.

Anche se il messaggio sotteso non è letteralmente “Basta combustibili fossili”, quello che passa è chiaramente un invito a un rinnovato rapporto con il pianeta.

Specchio o martello

La scrittrice Rebecca Solnit ha pubblicato sul Guardian un decalogo per affrontare la crisi climatica con speranza. Tra le cose di cui abbiamo bisogno per non demordere, cita un solo superpotere ed è l’immaginazione.

Uno strumento per imparare a percepire sia il terribile che il meraviglioso e spingerci a fare l’unica cosa necessaria: «Costruire un mondo nuovo e migliore». Insomma, visioni ad alto impatto trasformativo sull'immaginario in cui siamo immersi che l’arte può aiutarci ad attuare.

Come afferma il collettivo olandese Tools for Action, che prende parte al Climate Social Camp di Torino con un workshop collaborativo sulla costruzione di strumenti strategici da utilizzare nell’ambito di azioni politiche, «l’arte non è uno specchio della società, ma un martello con cui plasmarla».

Lo strumento c’è. Sta quindi agli attivisti scegliere il modo giusto di utilizzarlo.

© Riproduzione riservata