I motivi del successo del Movimento Cinque stelle rimandano alla compenetrazione tra elementi politico-ideali e prassi organizzativa.  Questi elementi, proposti in altra veste dall’analisi di Enzo Risso sul numero di Domani di domenica 4 luglio,  fanno perno sull’ecologia, fonte originaria della politicizzazione di Beppe Grillo oltre un decennio fa, sul rifiuto/ostitlità dell’establishment politico-economico assumendo il ruolo di difensore civico dei diritti (conculcati) dei cittadini, e sulla prospettiva di un nuovo modo di interagire e decidere fondato sulle rete.

Quest’ultimo aspetto non è tecnico o residuale ma costituisce il cuore dell’esperienza pentastellata perché prefigura un nuovo tipo di formazione e trasmissione della domanda politica.

Identità organizzativa

L’alterità rispetto agli altri partiti e al sistema rappresentativo si nutre in maniera complementare tanto di contenuti, che potremmo riassumere nel rifiuto delle classi dirigenti e delle proposte politiche mainstream, quanto di pratica politica immateriale e digitale, senza strutture fisiche.

La democrazia diretta idealizzata da Grillo e dal co-fondatore del Movimento, Gianroberto Casaleggio, così come il sorteggio per eleggere rappresentanti, o le assemblee deliberative, dove un campione di cittadini discute e decide su alcuni temi precisi, rappresentano tentativi di rimediare alla disaffezione nei confronti della democrazia rappresentativa.

Che siano soluzioni efficaci e auspicabili è un altro conto, ma non si tratta di proposte da squinternati, tanto che esse animano da tempo il dibattito accademico e sono praticate anche da governi democratici.

L’ultimo caso rilevante è quello della presidenza francese con la Convenzione cittadina sul clima, con 150 cittadini estratti a sorte nel 2019 che hanno elaborato proposte da sottoporre poi a Emmanuel Macron.

La ragione dell’irrigidimento di Beppe Grillo con conseguente scomunica delle ipotesi di normalizzazione, soprattutto gestionale, del nuovo statuto proposto dall’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, non riguarda solo il “classico” fattore del carisma, o del padre-padrone, che non vuole abdicare al suo ruolo.

Del resto, che Grillo non avesse più molta voglia di occuparsi dei Cinque stelle, tanto da aver promosso sul campo fin dal lontano 2014 un direttorio composto da giovani, è cosa nota.

Ma in un momento dirompente come quello seguito alle elezioni politiche del 2018 era inevitabile che il “garante” intervenisse negli snodi cruciali.

Vale la pena notare, en passant, che non si sono sentite critiche feroci sull’antidemocraticità grillina quando il fondatore ha convinto i suoi a sostenere prima l’alleanza con il Partito democratico nell’estate 2019 e poi il governo guidato da Mario Draghi dopo la caduta del Conte 2, a gennaio scorso.

Questione di diversità

La difesa dell’originalità organizzativa del Movimento 5 stelle è connessa con il rifiuto della politica tradizionale.

Senza la mitologia della rete il Movimento diventa troppo omologato, ben più di quanto non abbia fatto con la sua partecipazione al governo, e non riesce a trattenere quella quota di elettorato antipolitico, protestatario e disaffezionato che lo ha plebiscitato nel 2018 con oltre il 32 per cento dei consensi perché forniva risposte a domande sociali (reddito di cittadinanza) e di alterità al sistema (costi della politica, vitalizi, taglio parlamentari).

Opportunità per la destra

Questa componente costituisce ancora, insieme a quella ecologista e sociale, il bacino di riferimento del Movimento 5 stelle.

Un bacino ancora ampio perché non ci si può illudere che il quotidiano incensamento mediatico del premier Draghi convinca anche quei vasti territori di opinione attraversati da diffidenza e lontananza dalla politica.

Territori che il Movimento 5 stelle ha intercettato e trattenuto su lidi democratici impedendo che andassero tutti all’estrema destra.

La crisi del Movimento consente alla Lega di Matteo Salvini e a Giorgia Meloni con Fratelli d’Italia di attrarre parte di questi elettori.

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